La crisi economica ha portato tante persone a vivere un periodo di difficoltà ai limiti della disperazione umana e professionale. Il coach può aiutarle? Sì, mettendo in pratica gli “Sleight of mouth” del professor Robert Dilts. Una serie di schemi linguistici grazie ai quali le proprie esperienze e certezze vengono “re incorniciate” in altri modelli di attenzione.
Sono anni di crisi economica, di futuro incerto, eppure si sente un gran parlare di “ristrutturazione”. Le detrazioni fiscali per chi ristruttura la propria abitazione non sono più misure estemporanee ma sono agevolazioni ormai diventate legge. I governi di Spagna, Grecia e Italia, più degli altri, sono impegnati a ridurre e ristrutturare l’ingente debito accumulato negli scorsi anni. Ristrutturazione materiale.
La parola ristrutturazione è però anche una tecnica, un modello che i coach conoscono e usano. In periodi di difficoltà ai limiti della disperazione, di solidarietà umana verso chi chiede di essere ascoltato nel suo dramma, come può un coach essere d’aiuto offrendo un atteggiamento rispettoso ma non freddo?
Come è possibile, se è possibile, la ristrutturazione della persona che si trova in una crisi umana e professionale?
Il processo del coach deve essere quello di chiedere al cliente di rivedere alcune sue convinzioni stimolandolo, rendendolo consapevole che esistono nuovi modi di affrontare il problema, portandolo sulla strada della ricerca di nuove opportunità.
Alcuni anni fa il coach di fama internazionale Robert Dilts ideò un modello che chiamò “Sleight of mouth” con l’intento di aiutare le persone a riconsiderare, grazie all’ausilio delle parole, alcune delle loro convinzioni limitanti.
Il modello Sleight of mouth, è suddiviso in quattordici sottomodelli e racchiude anche la tecnica della “ristrutturazione” della persona. L’espressione in inglese usata dal professor Dilts è reframing, tradotta in italiano come “reincorniciamento”.
Il compito del coach è quello di inserire il quadro fosco della crisi dentro una nuova cornice. Se un cliente afferma: “Ho già provato questo lavoro vent’anni fa e non sono riuscito a portarlo avanti, men che meno potrò farlo adesso dopo aver svolto tutt’altra professione.” Oppure “Con la crisi che c’è, non posso iniziare a fare un lavoro per il quale non ho esperienza.” O ancora “E’ questa città che non offre occasioni giuste per me” è il momento in cui il coach interviene sulla ristrutturazione della persona.
La realtà in parte è questa, almeno il punto di partenza. L’aiuto che deve portare il coach è spingere alla riflessione il cliente in modo da incorniciare queste riflessioni nel contesto attuale partendo dalla constatazione che nella storia dell’umanità ci sono sempre stati periodi di crisi alternati ad altri di prosperità e soprattutto quelle negative sono state delle brevi parentesi. Inoltre le certezze caratteriali possono nel tempo essere diventate dei limiti, ma soprattutto il contrario. Gli ostacoli che si sono percepiti in passato derivavano da una scarsa consapevolezza delle proprie potenzialità e qualità interiori.
La sfida che il coach lancia al coachee è proprio quella di ristrutturare la crisi, cercando di darle un significato nuovo che invece da solo non è riuscito a trovare. Come dice Dilts “La pioggia di per sé non è né buona, né cattiva. Il giudizio relativo ad essa ha a che fare con le conseguenze che produce all’interno di un determinato contesto.”
E’ pertanto il contesto, ampliato o ristretto, che deve essere rivisto a vantaggio di chi, davanti alle difficoltà personali e professionali, si sente senza via d’uscita.