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Slow News

Creato il 24 febbraio 2015 da Pedroelrey

Nell’epoca del nowism: il biso­gno di gra­ti­fi­ca­zioni ed infor­ma­zioni istan­ta­nee e costanti ben sin­te­tiz­zato dalla defi­ni­zione che ne for­ni­sce l’Urban Dic­tio­nary, dedi­carsi allo slow jour­na­lism è un atto di grande corag­gio o, in alter­na­tiva, di scon­si­de­rata avven­ta­tezza. Per que­sto ho voluto appro­fon­dire le moti­va­zioni alla base della nascita di Slow News, ini­zia­tiva edi­to­riale tutta ita­liana, a dispetto del nome, online da poco più di un mese in una breve inter­vi­sta ai fon­da­tori del progetto.

1) Per­ché, in un eco­si­stema dell’informazione che, per dirla come Twit­ter, corre più veloce di un ter­re­moto avete deciso di dedi­carvi alle “slow news”?

Il flusso dell’informazione ha rag­giunto un’intensità e una velo­cità dif­fi­cil­mente soste­ni­bili, per­sino per chi all’interno del mondo dell’informazione vive e lavora. Meglio non pen­sare — oppure, meglio pen­sarci! — a chi è fuori da que­sta bolla: pro­ba­bil­mente trova tutto solo incom­pren­si­bile, diso­rien­tante. Pen­siamo ci sia biso­gno di un lavoro di sot­tra­zione, non di addi­zione: e poi tutti e cin­que, da anni e per motivi pro­fes­sio­nali, viviamo ogni giorno il famoso infor­ma­tion over­load.

Non aman­dolo par­ti­co­lar­mente, abbiamo pen­sato a un modello radi­cal­mente oppo­sto. Ed ecco Slow News.  Che è anche una spe­cie di filo­so­fia di vita e di lavoro alter­na­tivo. Un “pre­si­dio”. Un po’ come Slow Food, alle sue ori­gini, lo fu per il cibo di qua­lità e “local”.

2) Da subito avete deciso di andare a paga­mento. Qual’è il modello di busi­ness di slow news?

Gabriele Fer­ra­resi: Cre­diamo che il lavoro vada pagato, sem­pre. Slow News, per quanto per noi sia pia­ce­vole da rea­liz­zare, è un pic­colo lavoro. Il nostro modello di busi­ness è basato su micro­pa­ga­menti: pagare pochis­simo, in tanti, spe­riamo sem­pre di più. Otto numeri, ovvero un mese di Slow News, val­gono 2 euro, cin­quanta cen­te­simi a set­ti­mana. L’abbonamento annuale, oltre ottanta numeri, costa 18 euro, 1,5 euro al mese, nean­che 2 cen­te­simi a numero.

Andrea Spi­nelli Bar­rile: Il modello di busi­ness di Slow News si basa, poi, su un di rap­porto di fidu­cia tra noi e gli abbo­nati per­ché pen­siamo che il gior­na­li­smo, in tutte le sue decli­na­zioni, sia un ser­vi­zio: se chi lo fa ha un dovere di cor­ret­tezza verso i let­tori que­sti ultimi hanno il dovere di pagare per il ser­vi­zio che rice­vono. Allo stesso modo, il let­tore ha il diritto di non essere sod­di­sfatto. E infatti abbiamo scelto di rim­bor­sare l’ultimo mese pagato a un even­tuale let­tore insod­di­sfatto [chi altri lo fa, in Italia?].

Alberto Pulia­fito: E per ora nes­suno ha chie­sto indie­tro i soldi! L’altra cosa impor­tante è che, essendo per noi un lavoro resi­duale [abbiamo tutti altre col­la­bo­ra­zioni, for­tu­na­ta­mente], la for­mula dei micro­pa­ga­menti ci con­sente di inve­stire piano piano in pic­cole miglio­rie che appor­te­remo.È chiaro che sia un modello desti­nato a una cre­scita lenta, anche per­ché gli dedi­chiamo una pic­cola fetta del nostro tempo libero. Non potrebbe essere altri­menti. Non è pen­sato, oggi, per gene­rare un pro­fitto ma per darci i mezzi per coprire pic­coli inve­sti­menti per miglio­rare. Troppe volte noi stessi ci siamo seduti intorno a un tavolo e abbiamo pen­sato che ci voles­sero troppi soldi e troppo tempo come inve­sti­mento di par­tenza per fare qual­cosa di nostro. Poi un giorno, in un con­ve­gno, ho sen­tito par­lare Robin Good. Ha insi­stito molto sul con­cetto di gior­na­li­sta come impren­di­tore per­so­nale  - come start up, se vogliamo usare un ter­mine alla moda — . Da lì ho comin­ciato a pen­sare a que­sto, ispi­ran­domi anche ad altre realtà esi­stenti [oltreo­ceano, però]. E ad un’attività “resi­duale”, “lenta”, che si con­trap­ponga in maniera radi­cale – non solo come con­te­nuti ma anche come modello di busi­ness – a tutto quel che viene fatto oggi nell’informazione online. Anche a quello che fac­ciamo noi stessi. Detto ciò, sono con­vinto che prima o poi lo slow jour­na­lism sia desti­nato a cre­scere e a rita­gliarsi una sua nic­chia di mer­cato. Meglio ini­ziare per tempo a posizionarsi. 

3) Pen­sando alla con­tent cura­tion in Ita­lia viene subito in mente Good Mor­ning Ita­lia, quali le dif­fe­renze tra il vostro pro­getto ed il loro? 

Gabriele Fer­ra­resi: Quello di Good Mor­ning Ita­lia è un bel­lis­simo pro­getto. È per­fetto come risorsa nel quo­ti­diano: noi però siamo diversi, pro­po­niamo un approc­cio alla let­tura e all’informazione più lento e legato sì all’attualità, ma non bloc­cato sulla stessa.

Il nostro lavoro di cura­tion e sele­zione poi cerca di anche di andare indie­tro nel tempo: e a volte pos­sono bastare pochi mesi. Uno dei pro­blemi dell’infor­ma­tion over­load è pro­prio il tempo di vita dei con­te­nuti, spesso anche di quelli validi: scom­pa­iono. Noi, quando ha una sua logica farlo, cer­chiamo di ripor­tarli alla luce e di farli tor­nare d’attualità.

Andrea Spi­nelli Bar­rile: A dif­fe­renza da Good­Mor­ning Ita­lia, Slow News è svin­co­lata dall’attualità, anche se la tiene sem­pre sott’occhio. È vero, ci si potrebbe chie­dere per­ché un let­tore dovrebbe essere inte­res­sato a quel che sug­ge­riamo: non vogliamo sem­brare arro­ganti che propongono/impongono al let­tore que­sto o quel con­te­nuto, ma con­di­vi­dere espe­rienze [le nostre e quelle degli autori che pro­po­niamo] che ven­gono messe a dispo­si­zione degli abbo­nati. E, prima di tutto Slow News è un rap­porto umano, un rap­porto tra i let­tori e Slow News: men­tre molti siti all news gene­ra­li­sti disat­ti­vano i com­menti agli arti­coli, noi chie­diamo ai let­tori di farci sapere che ne pen­sano, di darci il più pos­si­bile feed­back, spe­cial­mente nega­tivi. Fino ad oggi è andata bene.

Alberto Pulia­fito: È pro­prio il modo in cui creiamo i numeri della new­slet­ter che è diverso. Si parte da una sug­ge­stione, che può venire dall’attualità o da altro, magari anche solo da un buon pezzo, e si va spesso per libere asso­cia­zioni di idee. Si parla di San­remo e si fini­sce a uno spet­ta­colo di stand up comedy. Si parla del Char­lie Hebdo e si arriva a un libro sul nazio­na­li­smo fran­cese. Si parla di wre­stling, di porno, di mondo del lavoro: qua­lun­que sia l’argomento, i sug­ge­ri­menti che lasciamo ai nostri let­tori riguar­dano solo quello che per noi è “eccel­lenza”. Ci offriamo come cura­tori per­so­nali, ma vogliamo anche par­lare con i nostri abbo­nati. E vogliamo offrire loro il pia­cere della sco­perta di con­te­nuti che altri­menti non avreb­bero tro­vato. La linea edi­to­riale spa­zia dal serio al faceto, dal con­te­nuto recen­tis­simo a quello più datato. L’obiettivo è quello di offrire plu­ra­lità di sguardi su un tema, pezzi o video o fram­menti audio che si abbia dav­vero voglia di leg­gere, vedere, ascol­tare, una volta sco­perti. Con­te­nuti che avrebbe un senso tenere in un’antologia o nei pre­fe­riti. Qual­cosa di cui si possa godere iso­lan­dosi dal flusso infi­nito di ras­se­gne stampa, tito­loni, dichia­ra­zioni, aggior­na­menti, brea­king, click bai­ting, gat­tini, shock e via dicendo. 

4) Per il momento Slow News è una new­slet­ter, quali saranno gli svi­luppi futuri?

Le idee sulle quali stiamo lavo­rando ora come ora sono: una pro­fi­la­zione per inte­ressi degli abbo­nati; un’applicazione iOS e Android; numeri mono­gra­fia dedi­cati a un sin­golo tema; un’evoluzione natu­rale con pro­du­zione di long form jour­na­lism.

Poi c’è un’altra idea, molto slow, che è quella di orga­niz­zare eventi dal vivo con una moda­lità par­ti­co­lare e molto coe­rente con il pro­getto: la lan­ce­remo a breve.

Ovvia­mente siamo aper­tis­simi a col­la­bo­ra­zioni di ogni tipo con chiun­que sposi la filo­so­fia alla base di Slow News

5) Pro­viamo a trac­ciare un qua­drante dell’informazione ita­liana. Slow news si col­loca come alter­na­tivo o com­ple­men­tare rispetto alle testate online?

È diret­ta­mente un altro modo di infor­marsi, un modo per sele­zio­nare solo quello che serve dav­vero.Le testate online sono la nostra fonte. Come i blog, i social net­work, gli archivi di video e audio, tutto ciò che esi­ste sul web. Poi, sic­come siamo dei gio­che­rel­loni e goliardi, diremmo che Slow News è un’alternativa com­ple­men­tare alle testate online [qua­lun­que cosa que­sto voglia dire].

Underwood


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