Nell’epoca del nowism: il bisogno di gratificazioni ed informazioni istantanee e costanti ben sintetizzato dalla definizione che ne fornisce l’Urban Dictionary, dedicarsi allo slow journalism è un atto di grande coraggio o, in alternativa, di sconsiderata avventatezza. Per questo ho voluto approfondire le motivazioni alla base della nascita di Slow News, iniziativa editoriale tutta italiana, a dispetto del nome, online da poco più di un mese in una breve intervista ai fondatori del progetto.
1) Perché, in un ecosistema dell’informazione che, per dirla come Twitter, corre più veloce di un terremoto avete deciso di dedicarvi alle “slow news”?
Il flusso dell’informazione ha raggiunto un’intensità e una velocità difficilmente sostenibili, persino per chi all’interno del mondo dell’informazione vive e lavora. Meglio non pensare — oppure, meglio pensarci! — a chi è fuori da questa bolla: probabilmente trova tutto solo incomprensibile, disorientante. Pensiamo ci sia bisogno di un lavoro di sottrazione, non di addizione: e poi tutti e cinque, da anni e per motivi professionali, viviamo ogni giorno il famoso information overload.
Non amandolo particolarmente, abbiamo pensato a un modello radicalmente opposto. Ed ecco Slow News. Che è anche una specie di filosofia di vita e di lavoro alternativo. Un “presidio”. Un po’ come Slow Food, alle sue origini, lo fu per il cibo di qualità e “local”.
2) Da subito avete deciso di andare a pagamento. Qual’è il modello di business di slow news?
Gabriele Ferraresi: Crediamo che il lavoro vada pagato, sempre. Slow News, per quanto per noi sia piacevole da realizzare, è un piccolo lavoro. Il nostro modello di business è basato su micropagamenti: pagare pochissimo, in tanti, speriamo sempre di più. Otto numeri, ovvero un mese di Slow News, valgono 2 euro, cinquanta centesimi a settimana. L’abbonamento annuale, oltre ottanta numeri, costa 18 euro, 1,5 euro al mese, neanche 2 centesimi a numero.
Andrea Spinelli Barrile: Il modello di business di Slow News si basa, poi, su un di rapporto di fiducia tra noi e gli abbonati perché pensiamo che il giornalismo, in tutte le sue declinazioni, sia un servizio: se chi lo fa ha un dovere di correttezza verso i lettori questi ultimi hanno il dovere di pagare per il servizio che ricevono. Allo stesso modo, il lettore ha il diritto di non essere soddisfatto. E infatti abbiamo scelto di rimborsare l’ultimo mese pagato a un eventuale lettore insoddisfatto [chi altri lo fa, in Italia?].
Alberto Puliafito: E per ora nessuno ha chiesto indietro i soldi! L’altra cosa importante è che, essendo per noi un lavoro residuale [abbiamo tutti altre collaborazioni, fortunatamente], la formula dei micropagamenti ci consente di investire piano piano in piccole migliorie che apporteremo.È chiaro che sia un modello destinato a una crescita lenta, anche perché gli dedichiamo una piccola fetta del nostro tempo libero. Non potrebbe essere altrimenti. Non è pensato, oggi, per generare un profitto ma per darci i mezzi per coprire piccoli investimenti per migliorare. Troppe volte noi stessi ci siamo seduti intorno a un tavolo e abbiamo pensato che ci volessero troppi soldi e troppo tempo come investimento di partenza per fare qualcosa di nostro. Poi un giorno, in un convegno, ho sentito parlare Robin Good. Ha insistito molto sul concetto di giornalista come imprenditore personale - come start up, se vogliamo usare un termine alla moda — . Da lì ho cominciato a pensare a questo, ispirandomi anche ad altre realtà esistenti [oltreoceano, però]. E ad un’attività “residuale”, “lenta”, che si contrapponga in maniera radicale – non solo come contenuti ma anche come modello di business – a tutto quel che viene fatto oggi nell’informazione online. Anche a quello che facciamo noi stessi. Detto ciò, sono convinto che prima o poi lo slow journalism sia destinato a crescere e a ritagliarsi una sua nicchia di mercato. Meglio iniziare per tempo a posizionarsi.
3) Pensando alla content curation in Italia viene subito in mente Good Morning Italia, quali le differenze tra il vostro progetto ed il loro?
Gabriele Ferraresi: Quello di Good Morning Italia è un bellissimo progetto. È perfetto come risorsa nel quotidiano: noi però siamo diversi, proponiamo un approccio alla lettura e all’informazione più lento e legato sì all’attualità, ma non bloccato sulla stessa.
Il nostro lavoro di curation e selezione poi cerca di anche di andare indietro nel tempo: e a volte possono bastare pochi mesi. Uno dei problemi dell’information overload è proprio il tempo di vita dei contenuti, spesso anche di quelli validi: scompaiono. Noi, quando ha una sua logica farlo, cerchiamo di riportarli alla luce e di farli tornare d’attualità.
Andrea Spinelli Barrile: A differenza da GoodMorning Italia, Slow News è svincolata dall’attualità, anche se la tiene sempre sott’occhio. È vero, ci si potrebbe chiedere perché un lettore dovrebbe essere interessato a quel che suggeriamo: non vogliamo sembrare arroganti che propongono/impongono al lettore questo o quel contenuto, ma condividere esperienze [le nostre e quelle degli autori che proponiamo] che vengono messe a disposizione degli abbonati. E, prima di tutto Slow News è un rapporto umano, un rapporto tra i lettori e Slow News: mentre molti siti all news generalisti disattivano i commenti agli articoli, noi chiediamo ai lettori di farci sapere che ne pensano, di darci il più possibile feedback, specialmente negativi. Fino ad oggi è andata bene.
Alberto Puliafito: È proprio il modo in cui creiamo i numeri della newsletter che è diverso. Si parte da una suggestione, che può venire dall’attualità o da altro, magari anche solo da un buon pezzo, e si va spesso per libere associazioni di idee. Si parla di Sanremo e si finisce a uno spettacolo di stand up comedy. Si parla del Charlie Hebdo e si arriva a un libro sul nazionalismo francese. Si parla di wrestling, di porno, di mondo del lavoro: qualunque sia l’argomento, i suggerimenti che lasciamo ai nostri lettori riguardano solo quello che per noi è “eccellenza”. Ci offriamo come curatori personali, ma vogliamo anche parlare con i nostri abbonati. E vogliamo offrire loro il piacere della scoperta di contenuti che altrimenti non avrebbero trovato. La linea editoriale spazia dal serio al faceto, dal contenuto recentissimo a quello più datato. L’obiettivo è quello di offrire pluralità di sguardi su un tema, pezzi o video o frammenti audio che si abbia davvero voglia di leggere, vedere, ascoltare, una volta scoperti. Contenuti che avrebbe un senso tenere in un’antologia o nei preferiti. Qualcosa di cui si possa godere isolandosi dal flusso infinito di rassegne stampa, titoloni, dichiarazioni, aggiornamenti, breaking, click baiting, gattini, shock e via dicendo.
4) Per il momento Slow News è una newsletter, quali saranno gli sviluppi futuri?
Le idee sulle quali stiamo lavorando ora come ora sono: una profilazione per interessi degli abbonati; un’applicazione iOS e Android; numeri monografia dedicati a un singolo tema; un’evoluzione naturale con produzione di long form journalism.
Poi c’è un’altra idea, molto slow, che è quella di organizzare eventi dal vivo con una modalità particolare e molto coerente con il progetto: la lanceremo a breve.
Ovviamente siamo apertissimi a collaborazioni di ogni tipo con chiunque sposi la filosofia alla base di Slow News
5) Proviamo a tracciare un quadrante dell’informazione italiana. Slow news si colloca come alternativo o complementare rispetto alle testate online?
È direttamente un altro modo di informarsi, un modo per selezionare solo quello che serve davvero.Le testate online sono la nostra fonte. Come i blog, i social network, gli archivi di video e audio, tutto ciò che esiste sul web. Poi, siccome siamo dei giocherelloni e goliardi, diremmo che Slow News è un’alternativa complementare alle testate online [qualunque cosa questo voglia dire].