Slurp. Arredare la casa, colorarsi la vita e mangiare: tutto in un’unica soluzione
Fino a poco tempo fa, un nuovo locale appena aperto riportava il nome del proprietario, oppure la sua denominazione richiamava gli oggetti più disparati o il nome della via in cui si situava. La sua identificazione trascendeva quindi l’oggetto trattato. Un ristorante era semplicemente un ristorante. Dopodiché, per connotarlo, seguiva un nome o un guizzo di fantasia.
Photocredit: “Slurp. Tutto ciò chè gusto”.
Un nuovo modo di vivere la ristorazione
Photocredit: “Slurp. Tutto ciò chè gusto”
Nello scenario attuale si assiste a una libreria che in realtà è un bar, a una tabaccheria che può anche essere una merceria o un giornalaio, a un ristorante che sì fa cucina ma è più un posto in cui respiri un’aria, un clima.
Per certi versi è il ritorno al bazar del dopoguerra o alla trattoria multifunzione che fino a poco tempo fa era possibile trovare nei paesi ad almeno cinquanta chilometri dalla città principale. E la ricerca di trascendere la mera erogazione di servizi pare sia proprio quella, ma la scelta è dettata da un’istanza più propriamente postmoderna: chi ha cominciato è il drugstore parigino degli anni ottanta. La direzione in cui vanno a parare i nuovi esercizi multimediali, multi offerta e multi tutto consiste nello scollarsi da una logica concorrenziale di tutti quanti appartengano a una fascia merceologica dello stesso livello, per appropriarsi un’unicità che li renda inconfondibili. Allora non basta più solo un nome, un richiamo di fantasia, ci vuole molto di più: la peculiarità di associare la somministrazione di cibi e bevande alla vendita di oggetti di arredamento per esempio; la lettura e l’idillio con l’informatica corroborato da un buon caffè; la vendita di vestiti associata alla vendita di gioielli. Tutto questo non ha niente a che fare col supermercato, che pure è la realtà commerciale poliedrica per eccellenza. Quella che è in gioco qui è l’identità del management e la profferta rivolta al cliente è di sposare per un attimo una filosofia, un modo di sdrammatizzare il singolo oggetto di cui approvvigionarsi perché si faccia proprio uno stile, un modo di non intendere la vita a compartimenti stagni per arrivare a intenderla come uno stile a cui associarsi.
È evidente che chi si promuove così, fra le righe o non fra le righe, sa che affiliare la clientela a uno stile significa anche fidelizzarla e questo è particolarmente importante oggi che le categorie merceologiche presenti sul mercato si sono altro che dimezzate, visto che i supermercati di cui sopra vendono tutto e più di tutto, anche il pane e i cibi pronti. E’ il caso di Slurp, locale di via Massena a Torino.
Slurp: il locale
Stupisce che un ristorante di questi, che vende hamburger stupefacenti, pesce e piatti vegani al contempo venda le proprie sedie e i propri tavoli. Per ricordarci di andarci a mangiare è stato chiamato “Slurp”. Non solo: “tutto cio chè gusto”, questo il sottotitolo del ristorante. Qui l’ambiguità un po’ viene lasciata, perché infatti il gusto come concetto racchiude il pasto e la sedia, ovvero il gusto del cibo e il gusto dell’arredamento. Ma non importa, “Slurp” parla già abbastanza chiaro.
È stata una buona idea inventarsi “Slurp, tutto ciò chè gusto”. Fa venire il gusto di provare questo locale in via Massena a Torino, e una volta provatolo il gusto rimane.
Passando di fronte a questo bistrot, aperto 365 giorni l’anno, scatta la curiosità di testarlo, per un pranzo, un aperitivo, una cena, o anche per un brunch, il sabato e la domenica, o per una pizza al padellino la domenica sera.
Si respira un clima, un’atmosfera. L’ambiente è allegro, accogliente e giovanile; l’arredamento è un mix di colori e materiali: un tavolone come nelle trattorie toscane, luci colorate su tralicci di metallo, tavoli tutti spaiati, sedie l’una diversa dall’altra, lampade strampalate. Sui tavoli un menù più del solito: oltre al menù e alla carta dei vini, la carta dell’arredamento: se piace un oggetto d’arredo si può decidere di acquistarlo.
L’eccentricità di questa trovata, del vendere allo stesso tavolo il cibo e il tavolo, fa pensare a un modus per farci mangiare pensando e far pensare mangiando: aver modo di mangiare come a casa propria, ossia con l’attenzione sospesa tra il cibo che si ingurgita e la fantasia che va per conto suo, ma in più con gli stimoli moltiplicati per n. volte che puoi avere solo fuori casa. L’agio che provi è dato dall’ambiente che non è né asettico né schematico perché chi l’ha determinato ci ha messo del suo, ci si è speso per cui è un po’ come mangiare con lui oltre che con chi ti sei portato a cena. A Torino come a New York locali che vendono libri e caffè o cibi e vestiti hanno acceso l’interesse e richiamato la partecipazione di molte più persone di quante andassero a comprare libri da Fogola o da Druento, che infatti hanno chiuso.
Quando viene afferrata un’idea si alimenta un fuoco sacro, una spinta che ne alimenta altre e che è la molla per definire ancora meglio la propria idea, soppesarla, metterla bene a fuoco: questo il procedimento di chi inventa un’attività in cui trasfonde le diverse peculiarità che gli appartengono e ne fa un mix che, come nel nostro caso, ci fa identificare e fare nostra questa interiezione onomatopeica “Slurp”.
Se questi ingredienti non mancano, chi sta intorno lo percepisce. Che si tratti di acciughe del mar Cantabrico con burro salato dell’Alta Normandia, o di un tavolino a testa in giù appeso al soffitto, o di una poesia che avresti proprio voluto leggere in quel determinato momento e con quel caffè fatto in quel modo lì, la differenza in fondo non è molta, perché quello che colpisce è il mix di cura e inventiva, di lavoro, perseveranza e coraggio.
Se “Slurp” si fosse limitato a presentare l’idea di mangiare bene, mangiare sano, utilizzando i prodotti del territorio, forse avremmo scritto un articolo su Eataly. Se si fosse unicamente concentrato sugli hamburger fenomenali con fassone piemontese, verosimilmente di lì a poco li avremmo confrontati con quelli di M**Bun. Avremmo potuto apprezzare le ricette sofisticate, l’impiattamento, i piatti dalle forme diverse rispetto al tradizionale piatto tondo, l’originalità del design, ma qualcosa sarebbe comunque mancato. Quel qualcosa, quel “non so che”, è sia nell’insieme del locale, che a pelle risulta convincente, sia nei suoi singoli particolari. “Slurp” dà l’idea di un ristorante che è nato più volte: nella mente degli ideatori, nel confronto con altri gestori, nel test quotidiano con i clienti; è un locale dove ce n’è per tutti i gusti e in cui si fa un po’ di questo e un po’ di quello, ma a fondo e bene. Non a caso “Slurp” ha anche una sorella in via XX Settembre, che oltre a essere negozio di design e bistrot, ha uno spazio appositamente dedicato agli eventi. Si chiama “Casa Slurp” e anche qui il nome non è fortuito: “Casa Slurp” è come una casa, il cui gusto sta nell’inventiva con cui la si vive tutti i giorni.
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