Un americano su 10 lo usa anche – non è ben chiaro come – durante rapporti sessuali, il 40% delle persone lo consulta ancor prima di alzarsi dal letto, in tantissimi non potrebbero, oramai, stare più senza. Stiamo naturalmente parlando della smartphone-mania, l’attaccamento quasi ossessivo e sempre più diffuso al proprio telefonino. Un affare più serio di quello che potrebbe sembrare, tanto che fra gli addetti ai lavori già si parla di SPAI, acronimo che sta per Smartphone Addiction Inventory. Come se non bastasse, un recente studio – ripercorrendo i già noti sintomi della patologia, dalla consultazione continua alle sindromi da suoneria e vibrazione fantasma – ha scoperto come quella da cellulare tecnologico differisca dalla già nota e pur grave dipendenza da internet (Cfr. PlosOne, 2014).
Proprio un bel pasticcio dunque, quello in cui ci siamo cacciati. Non ho difatti difficoltà a riconoscermi fra i dipendenti del telefonino di ultima generazione, quello dove non sai mai non solo chi ti scrive – un amico, un parente, uno sconosciuto, uno stalker – ma da dove lo farà: se via Facebook, via WhatsApp, via Twitter, via posta elettronica oppure ricorrendo al quasi antico ma sempre affidabile sms. Il fatto di sapersi implicati se non tutti comunque in molti in questa faccenda non ci esonera affatto dal doverci dare una regolata. Basta infatti salire su un autobus, prendere un treno o anche solamente uscire a cena per verificare il degrado da abuso di tecno-gadget, con gruppi di amici che neppure più si danno retta, pur essendo l’uno accanto all’altro, per non perdersi nessun aggiornamento e nessun messaggio.
Già, perché l’incubo dello smartphone – che pure in sé, va riconosciuto, è strumento formidabile, di portata rivoluzionaria paragonabile a quella che ebbero prima la televisione e poi il personal computer – è che, una volta che viene perso di vista mezz’ora appena, richiede un intenso e spesso faticoso lavoro di smistamento posta e corrispondenza, come sa bene chiunque ne faccia uso; senza contare che rimandare una risposta ad un messaggio, il più delle volte, significa dimenticarsene, con comprensibile disappunto di colui che vi contava. Non sembra esserci dunque via d’uscita se non la più faticosa, ossia quella di abituarsi a lasciarlo effettivamente silenzioso e non direttamente a portata di mano senza trascurare neppure l’ipotesi, ogni tanto, di spegnerlo. Dopotutto sempre acceso, scattante e luminoso com’è, avrà bisogno di un po’ di riposo. Soprattutto, ne abbiamo bisogno noi.