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Smascherato il medioevo liberista

Creato il 24 aprile 2014 da Albertocapece

capitalism_enjoy_coca_cola_desktop_3840x2400_hd-wallpaper-637637-e1358245180640Il New York Times lo certifica: la classe media statunitense sta perdendo posizioni e non si trova più al vertice delle statistiche mondiali, superata dal vicino Canada e persino da alcuni Paesi europei: le disparità aumentano a dismisura e la famosa ripresa sembra non aver alcun effetto sui redditi. Questo svela uno degli inganni e delle ambiguità che si celano dentro la parola ripresa: intanto il segno più sul Pil è in gran parte dovuto al cambiamento di alcuni criteri di calcolo che ne favoriscono una crescita apparente che per gli Usa è attorno al 2% (in Europa il nuovo calcolo sarà adottato a settembre per ottenere lo stesso effetto miraggio, vedi qui). Ma ciò che rimane della crescita effettiva ormai va a meno dell’ 1% della popolazione, lasciando completamente da parte tutti gli altri che vengono anzi impoveriti sempre di più.  

D’altro canto recenti statistiche internazionali dimostrano che gli Usa da paese delle opportunità si sono trasformati nel paese con la minor mobilità sociale all’interno dell’Ocse e mentre i nostri creduloni o finti tali si gingillano con le start up e con il lontano mito dei garage dove sarebbe nata l’informatica, la realtà è ben diversa: il successo sociale è ormai divenuto ereditario. Dico questo per spiegare il successo ottenuto sia a Washington che ad Harvard delle due conferenze di un noto economista francese,  Thomas Piketty, autore del Capitale nel XXI secolo, un’opera gigantesca che ha messo assieme il lavoro di decine di ricercatori di grande caratura per circa 15 anni e che è stata prenotata nella sua traduzione in inglese oltre ogni aspettativa dell’editore. 

Essere applauditi nella tana stessa del liberismo e della scuola di Chicago, ricevere omaggi da Stiglittz e Krugmann è quasi una rivoluzione ed è forse un segnale visto che una tale accoglienza  fu riservata a suo tempo solo al britannico Keynes. Ma è ancora più  sorprendente alla luce di ciò che dice Piketty sulla scorta della gigantesca avventura di ricerca sull’economia mondiale e della storia delle disuguaglienze che essa percorre. Ne riporto un brano illuminante: «Lo studio collettivo è cominciato 15 anni fa ed è formato da due parti. Da una abbiamo raccolto dati sui redditi, in quei paesi esiste da tempo un’imposta personale su questi ultimi. Cioè tutti i paesi occidentali ed anche Cina, India, molte nazioni dell’America latina. Dall’altra abbiamo analizzato i dati sui patrimoni, usando anche le statistiche sulle tasse di successione. Europa e Giappone sono due esempi illuminanti per capire come si crea una società “patrimoniale”, dove contano le ricchezze ereditarie: bassa natalità e bassa crescita economica rendono prevalenti le ricchezze già accumulate. Questa sta diventando la regola nel mondo intero. La chiave di tutto sta nel rapporto tra due variabili: da una parte il rendimento netto del capitale, dall’altra la crescita economica (a sua volta legata anche a quella demografica). Se il rendimento del capitale supera la crescita economica, come sta accadendo oggi, ecco che il XXI secolo assomiglia sempre di più all’Ottocento: si va verso delle società oligarchiche. L’eccezione, l’anomalia più importante, l’abbiamo avuta per un lungo periodo del Novecento, dopo le due guerre mondiali, e in particolare nel “trentennio dorato” che va dalla ricostruzione post-bellica agli anni Settanta. Le diseguaglianze diminuirono sia per la forte crescita economica e demografica, sia per gli aumenti nella tassazione dei ricchi. Ci furono prelievi fiscali straordinari sui patrimoni, spesso legati allo sforzo bellico. E ci fu un forte aumento della tassazione progressiva sui redditi. A partire dagli Stati Uniti. Oggi può stupire, ma fu l’America a inventare una patrimoniale progressiva, con questa giustificazione: non voleva diventare una società ineguale come quella europea. E gli americani dopo la seconda guerra mondiale esportarono la loro elevata tassazione nelle due potenze sconfitte, Germania e Giappone, come un segno distintivo di civiltà* (vedi nota)Non siamo giunti alla fine di questo processo di divaricazione. Le diseguaglianze cresceranno ancora, rendendoci simili alla Francia pre-rivoluzionaria, dove i nobili rappresentavano l’1% della popolazione. È decisiva l’importanza dell’apparato di persuasione, con cui i privilegiati possono rendere la diseguaglianza accettabile, o inevitabile. Il XX secolo per invertire la tendenza alle diseguaglianze e imporre un cambiamento di direzione, ebbe bisogno di due guerre mondiali». 

Come sappiamo tutto questo è stato contestato a partire dalla fine degli anni ’70, dalla scuola liberista che mentre indicava la modernizzazione pensava in realtà alla reazione e a un ritorno alle società del passato. E anche in Italia gli aggettivi moderno e nuovo sono ormai entrati al servizio permanente effettivo della trasformazione oligarchica vista la loro grande capacità di confondere le idee. A mio giudizio Piketty sottovaluta il ruolo svolto dall’Unione Sovietica, nel determinare da parte del capitalismo la fase del compromesso keynesiano, sia con il new deal che soprattutto nel dopoguerra, una fase venuta meno quando l’avversario si è indebolito ed è poi crollato. Ma in ogni caso ciò che emerge dalla gigantesca ricerca dell’economista francese sono due cose evidenti: la prima che la crescita economica e sociale è stata in gran parte determinata da una più ampia distribuzione della ricchezza, resa possibile da una tassazione fortemente progressiva sia sui patrimoni,che su i redditi. Cioè da meccanismi che vanno in direzione esattamente contraria al mainstream attuale e che sono stati i primi ad essere contestati dai fondatori del neoliberismo, anche attraverso operazioni scorrette e intellettualmente inesistenti date in pasto al grande pubblico, come la ben nota curva di Laffer.

La seconda che viene di conseguenza è che il liberismo si presenta come dottrina economica ma è in realtà un’ ideologia politica fortemente reazionaria. E per fortuna lo dice anche Krugman, a commento delle conferenze di Piketty:  «Il lavoro di Piketty apre una nuova frontiera intellettuale. Se stasera siete venuti così numerosi ad ascoltarlo qui, se il suo libro ci colpisce con tanta forza, è perché ne sentivamo il bisogno. Le élite hanno avuto la capacità di imporre un’ideologia che giustifica i loro privilegi. Per esempio hanno descritto le diseguaglianze come l’ineluttabile conseguenza di livelli d’istruzione diversi: non è affatto decisiva questa spiegazione, tant’è che un prof di liceo e un top manager hanno una preparazione culturale comparabile. Le performance individuali non hanno più un nesso con i guadagni dei top manager, che costituiscono gran parte dello 0,1% degli straricchi. I privilegiati della Belle Époque usavano questo argomento: c’è stata la Rivoluzione francese, come possiamo definirci una società diseguale se abbiamo tutti gli stessi diritti? È lo stesso discorso che fanno i privilegiati nell’America del XXI secolo. Mi piace questa espressione di Piketty: il passato divora il futuro. Cattura l’essenza di ciò che è una società patrimoniale».

Eppure tutto questo sembra non avere alcun effetto, non indurre ad alcuna riflessione la nostra società tutta contenta di andare dietro alle banderuole delle parole d’ordine che la riportano al passato. E mentre un ampio report sulla conferenza dell’economista francese faceva bella mostra di se su Repubblica, la prima pagina del medesimo quotidiano si occupava con entusiasmo dei penosi e infantili slogan renziani, o di preci all’euro e all’Europa nella speranza che gli strumenti effettivi della reazione non vengano contestati. Ed è una speranza ben riposta: tutto scorre come pioggia sui vetri e non ci si baderà fino a che non comincerà a piovere in casa. Ma sarà troppo tardi. 

 

* Anche in Italia si passò nel dopoguerra da un sistema regressivo di tassazione ereditato dal fascismo ad uno fortemente progressivo: il massimale delle imposte dirette sia pure per cifre che potevano raggiungere solo poche persone fu fissato nel  90%, poi man mano sceso al 72% e infine all’attuale 43%. La diminuzione contemporanea degli scaglioni di reddito, in origine 32 nella riforma Vanoni, ha oberato di tasse chi percepisce cifre modeste e via via sgravato i più ricchi. Oggi chi guadagna 75 000 euro lordi, paga lo stesso 43% dell’ultra milionario. 


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