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Il cinema italiano dopo aver trovato la formula vincente in commedia di bassa qualità registica/volta a sdrammatizzare sul momento di crisi economica attuale, si ripete ormai senza sosta, scopiazzando trame, attori, battute e situazioni, certo ormai di avere la fiducia di un pubblico che al cinema ci va' per staccare la spina e che dà quindi fiducia cieca a quanto gli si propone.
Esempi ce ne sono quasi ogni settimana tra i film in uscita, con Bisio, De Luigi e Abatantuono sempre più impegnati a vestire i soliti panni, ma in mezzo a tutto questo, una piccola luce, flebile ma importante, la si può ancora trovare.
Cosa ci sarebbe da aspettarsi da un esordio alla regia di un giovane salernitano ma cresciuto artisticamente a Roma e che di nome fa Sidney Sibilia?
I tentennamenti si fanno sentire, ovvio, ma vedere il nome Fandango tra i produttori e l'entusiasmo unanime della critica, fa rizzare le antenne, e a ben donde.
Smetto quando voglio è infatti un sospiro di sollievo per chi il cinema italiano difficilmente lo mastica, una ventata non solo di originalità a livello di trama (per quanto molto ispirata a serie come Breaking Bad o a situazioni alla Danny Boyle) ma anche, e soprattutto, a livello registico.
Seguiamo, infatti, l'evoluzione di un gruppo squattrinato di ricercatori universitari che, stanchi di essere al verde, di lavorare per stranieri e in ambiti a loro completamente estranei e degradanti, si uniscono mettendo in moto le loro capacità per produrre e poi spacciare una smart drug. Al pari di Walter White le abilità chimiche vengono messe all'opera, aggirando però la lista delle sostanze illegali redatta dal Ministero della Salute.
Ma il vero problema per latinisti, antropologi, economisti e archeologi, sarà risultare credibili in discoteche e ambienti beni prima, e nelle improvvisi vesti di ricchi poi.
La frizzantezza e la scrollata dal vecchiume che questo Smetto quando voglio porta, lo si sente fin dall'inizio, con la voice over di scorsesiana memoria a cui fa seguito nientemeno che Why don't you get a job? degli Offspring.
Da qui in poi sarà un continuo usa di una colonna sonora rockeggiante al punto giusto, situazioni al limite dell'assurdo (la rapina con baionette su tutte), battute al fulmicotone e personaggi unici e ben interpretati (alla faccia di chi tanto si prende sul serio) che assieme alla regia quasi internazionale e alla fotografia volutamente acida fanno del film un piccolo gioiello, e non solo nel contesto attuale.
Se nel versante romantico, un altro esordiente (Valerio Mieli) con Dieci inverni aveva saputo catalizzare l'attenzione ormai 5 anni fa, ora con Sibilia si aggiunge un nuovo tipo di commedia impegnata, che non disdegna a farsi denuncia di situazioni come il precariato e l'abuso di droghe e che a differenza della serie della AMC qualche morale -giustamente- la fa.
Con quel finale intelligente e ben strutturato, infine, il pubblico potrebbe finalmente capire che, per divertirsi e farsi catturare, non sempre bisogna staccare la spina.
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