Preso atto che la Riforma Fornero è una boiata (definizione del Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi), il nuovo ministro del Lavoro Giovannini si pone, però, il problema di come cambiarla e di dove reperire le risorse.
Ancora una volta, viene sbandierato il ritornello della flessibilità, in nome di non si sa bene quale principio logico, visto che, ormai da anni (era il 1997, quando fu introdotto il pacchetto Treu, la prima legge precarizzante), dovrebbe essere chiaro a tutti, che creare eserciti di precari non porta altro che disagio e povertà.
In più, l'ormai cronica mancanza di risorse potrebbe costringere il ministro a limitarsi a qualche soluzione tappabuchi, nella speranza di trovare nuove fonti di finanziamento più in là oppure di lasciare la patata bollente nelle mani di un futuro governo, nel caso in cui Letta non dovesse durare a lungo (ipotesi tutt'altro che campata per aria).
Non aspettiamoci, quindi, novità di rilievo e in tempi brevi, a parte un'ideuzza, per ora l'unica partorita dal neo ministro: aumentare la flessibilità in uscita, per favorire il ricambio generazionale. Con l'introduzione dell'ultima riforma del Welfare, targata governo Monti, infatti, in Italia è aumentata l'età pensionabile, che ha così drasticamente diminuito la possibilità che una risorsa vecchia venga sostituita da una nuova.
L'idea di Giovanni, invece, è quella di favorire forme di prepensionamento, allo scopo di liberare posti di lavoro per le nuove generazioni. Ovviamente, non gratis: per favorire l'uscita dal mercato del lavoro prima del tempo, il lavoratore, infatti, dovrebbe rinunciare a parte delle somme dovutegli per la pensione.
L'idea, possiamo dirlo, è già morta in partenza: l'Istat ha da poco certificato, infatti, che il 44% dei pensionati italiani (quasi la metà!) percepisce una somma inferiore ai 1.000 € mensili; cifra ridicola, se si tiene conto che, negli ultimi 10 anni, mentre il costo della vita cresceva, salari e pensioni restavano fermi.
Chiedere ad un aspirante pensionato di rinunciare a parte del suo già striminzito assegno, è fuori luogo. Inoltre, quanti accetterebbero? Quanti posti di lavoro si libererebbero? Troppo pochi, rispetto alle esigenze: dove sarebbe, quindi, il vantaggio di un progetto del genere?
Meglio, allora, che questa idea resti tale e che le energie vengano convogliate verso cose più utili, come, lo ripetiamo per l'ennesima volta, investimenti nelle nuove tecnologie, nella green economy, nel turismo, che aprirebbero nuove prospettive per il mercato del lavoro italiano, massacrato negli anni da crisi e riforme senza senso.
Sarebbe molto importante, inoltre, se il ministro Giovannini dedicasse parte delle sue energie alle banche: secondo una recente ricerca di Confartigianato, infatti, in Italia gli aspiranti imprenditori al di sotto dei 40 anni sono il 19,2%, quasi il doppio della media europea (il 10,3%; mentre in Inghilterra è del 9,7%, in Francia del 7,5%, in Germania del 5,9%). Anche volendo individuare, tra questi numeri, delle false partite iva, la percentuale è notevole, segno che i giovani italiani, anche in tempi di crisi, credono in se stessi e nelle proprie capacità, alla faccia di chi li chiama bamboccioni o choosy.
Purtroppo, le cose non vanno molto bene: tra il 2008 e il 2012, sono stati oltre 331 mila i fallimenti di imprese, guidate dagli under 40. Questo perchè, tranne qualche agevolazione, introdotta dal governo Monti, l'imprenditorialità dei giovani italiani si scontra con tanti problemi (tasse, burocrazia, ecc.), primo tra tutti lo scoglio – troppo spesso insuperabile – della difficoltà di accesso al credito .
Non sarebbe, quindi, più utile creare una legge che permetta, ai giovani imprenditori, di accedere a forme agevolate di finanziamento, anzichè perdere tempo in progetti insensati? Sarebbe un modo – questo sì utile – per smuovere le acque stagnanti del mondo del lavoro italiano.
Danilo