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Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts

Creato il 22 novembre 2015 da Af68 @AntonioFalcone1

1Devo rivolgere un grazie alla mia innata curiosità se mi sono accostato alla visione di Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts scevro da ogni prevenzione, ben consapevole d’altra parte, rimembrando le precedenti trasposizioni per il piccolo (circa trenta, a partire da A Charlie Brown Christmas, 1965, diretto da Bill Melendez, preceduto nel ’59 da uno spot in bianco e nero per una nota casa automobilistica) e il grande schermo (quattro lungometraggi il più noto dei quali è A Boy Named Charlie Brown, ’69, sempre per la regia di Melendez), quanto possa essere difficile trasferire dall’essenzialità delle strisce d’origine sensazioni ed emozioni, spesso semplicemente intuibili, proprie di quel candido microcosmo così fortemente rappresentativo delle umane magagne rappresentato da Charles M. Schulz a partire dal 2 ottobre 1950. Risolutivo al riguardo fu l’intervento dell’United Feature Syndicate, che aveva notato la serie Li’l Folks realizzata dal fumettista per il supplemento domenicale del St. Paul Pioneer Press, contenente in nuce tematiche e personaggi che saranno proprie dei Peanuts.
Quanto messo in atto da 20th Century Fox Animation e Blue Sky Studios, per la regia di Steve Martino e la sceneggiatura di Craig e Bryan Schulz (rispettivamente figlio e nipote di Charles) cui si aggiunge Cornelius Uliano, è un tentativo frutto di più compromessi, fra i quali rientra, ovvio, lo sfruttamento commerciale.

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L’intento, riuscito a mio avviso, è quello di conferire ai noti personaggi una resa ed una consistenza cinematografica idonea a coinvolgere grandi e piccini, offrendo ai primi un immediato ricordo e coeva “corrispondenza d’amorosi sensi” con quanto delineato dai disegni su carta e ai secondi un coinvolgimento in primo luogo visivo, efficace comunque nel stemperare gradualmente una sana morale di fondo, valida infine per entrambi. Da spettatore adulto, non accompagnato da minore, devo ammettere di essermi sinceramente divertito ed anche, a volte, emozionato, pur se inizialmente non ero del tutto convinto dallo stile “pupazzoso” dei vari personaggi reso in digitale (idoneo ad assecondare l’eventuale 3D). Man mano però che l’iter narrativo andava sviluppandosi, dopo la sigla della Fox eseguita mirabilmente da Schroeder col suo piano giocattolo e il bell’inizio volto a rappresentare il tipico abitato da buona provincia americana, con tutti i personaggi intenti a festeggiare un giorno di vacanza scolastica causa neve, mi è stato facile abbandonare ogni prevenzione, vuoi perché il suddetto stile appariva mitigato da alcune indovinate intuizioni (le espressioni facciali riprese in primo piano ed eseguite in stile “schizzo di matita” richiamando il fumetto originale, le cui strisce vengono d’altronde riprese spesso a guisa di ricordo/didascalia), vuoi in virtù di una scrittura tutto sommato felice.

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Quest’ultima mi è parsa piuttosto rispettosa della poetica originaria ed intenta ad offrire un ruolo di primo piano a Charlie Brown, alla sua fragile psicologia, tenera e condivisibile, almeno per quanti (sì, scrivente compreso) si siano da sempre identificati nelle gesta di sopravvivenza quotidiana del “bimbo dalla testa rotonda”.
Buon vecchio Charlie Brown, indaffarato a trovare un suo posto nella comunità, fra aquiloni mai decollati, causa il solito albero pronto a “mangiarseli”, attivo anche nel periodo invernale, palloni da rugby che gli vengono rubati da sotto il piede dalla terribile Lucy, partite di baseball mai vinte nonostante i continui allenamenti, amori intensi mai veramente vissuti, se non all’ombra di timori e sogni destinati a morire all’alba, quando non prima… Maledetta ansia anticipatoria che ti prospetta ogni evento da affrontare come foriero di ambasce e sventure… Chissà, forse se riuscissi a farti avanti con quella ragazzina dai capelli rossi appena arrivata nel quartiere e che tanto ti ha colpito…
Niente da fare, ogni tentativo tale rimane, nonostante l’incoraggiamento del beagle Snoopy, amico fedele ed in certo qual senso contraltare canino dell’imbranato bimbetto, intento com’è a replicarne le avventure ma sfruttando quale opportuna alleata la fantasia più sfrenata, visualizzando, coadiuvato a sua volta dal “grillo parlante” Woodstock, una realtà oltre la cuccia, dove prende vita quanto getta sulla carta pigiando sui tasti della macchina da scrivere.

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“Era una notte buia e tempestosa”… ed ecco il cagnetto librarsi nell’aere, asso dei cieli pronto a sfidare con la sua cuccia aeromobile il triplano Fokker Dr.l del leggendario Barone Rosso, così da mettere in salvo la cagnolina dei suoi sogni, la bella Fifì…
Intanto, nella realtà di ogni giorno, Charlie Brown sembra conoscere un inaspettato successo in virtù di un test scolastico superato col massimo dei voti, ma non sarà certo un quarto d’ora di celebrità o giù di lì a conferirgli l’agognata vittoria, lungi dall’essere definitiva, per quanto una ritrovata fiducia in se stessi potrà far sì che gli ostacoli possano essere affrontati con piglio diverso. Come disse Churchill “Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta è il coraggio di andare avanti”, l’onestà di essere quel che si è fino in fondo, procedere a testa alta in nome di un’individualità capace comunque di tener conto delle esigenze degli altri, mettendosi funzionalmente da parte spinti dall’affetto per le persone a noi care, familiari, amici, il nostro prossimo in buona sostanza. Il susseguirsi delle varie vicende, sostenuto anche da un bel commento musicale di Christophe Beck, che richiama quanto composto da Vince Guaraldi per le citate precedenti trasposizioni, viene assecondato dal regista Martino con una certa classicità di stile, lontano da eccessive mirabilie visive, riservate essenzialmente al mondo parallelo immaginato da Snoopy.

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Si tende essenzialmente a riproporre per ogni singolo personaggio le caratteristiche che lo hanno reso noto nelle vignette, enfatizzandone i movimenti più eclatanti con gli stessi motivi grafici presenti sulla carta (i “voli” di Charlie Brown travolto dal ciclone Lucy, le capriole di Snoopy), riuscendo così ad ovviare alla “freddezza” propria della resa digitale con una certa intuitiva freschezza che, almeno a parer mio, ne fa la carta vincente.
Certo, riprendendo quanto scritto ad inizio articolo, rispetto all’opera originaria tutto si palesa con una maggiore immediatezza, nell’ottica di una sicura fruibilità per il pubblico giovanile, così da rendere effettivamente intergenerazionale l’impianto originario delineato dal loro autore, sempre mettendo in campo una rincorsa fra linearità e complessità. Evidente poi l’assunto finale, “umano” più che buonista, l’invito ad accogliere all’interno del proprio animo qualsiasi emozione, positiva o negativa, facendo leva anche sui propri difetti o limiti per fronteggiare la vita con un minimo di positività, rappresentata dalla soddisfazione di riuscire ad alzarsi dopo ogni caduta e nel continuare a lottare, ci arrida o meno la sorte. Charlie Brown nell’affrontare l’amletico dilemma “se sia più nobile d’animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell’iniqua fortuna, o prender l’armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli” sceglie la via più semplice ed immediata, ovvero urlargli contro, come riferisce in seduta psichiatrica presso il noto banchetto di Lucy (5 ¢ per un consulto, ricordatevene). Sei tutti noi Charlie Brown!


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