Snowpiercer
Creato il 15 marzo 2014 da Mattia Allegrucci
@Mattia_Alle
Un treno perennemente in corsa ospita gli ultimi esemplari che rappresentano l'umanità dopo una nuova era glaciale causata dall'uomo stesso; all'interno i vagoni sanciscono la differenza tra ricchi e poveri: l'alta società è in testa al treno, mentre ai meno abbienti sono destinati gli ultimi vagoni. Tra di loro nasce e si sviluppa l'idea di una rivolta: stanchi di mangiare barrette proteiche fabbricate in chissà quale maniera, i poveri organizzano una ribellione e, guidati da un determinato e improvvisato leader, tentano la scalata del treno fino alla locomotiva, dove il signor Wilford - il genio creatore dell'arca sferragliante - li attende. L'idea dietro Snowpiercer è tutta qui: uno spazio chiuso, uno scenario post-apocalittico, l'eterna lotta sociale per una parità dei diritti - che si scoprirà essere - solo ideale e mai reale (o realizzabile), l'equilibrio fragile di un microcosmo che rappresenta essenzialmente ciò che viviamo noi tutti i giorni da ormai parecchio tempo. A comandare il gruppo di rivoltosi è l'irriconoscibile Chris Evans, mai così bravo e convincente, che cercherà di portare i suoi compagni verso la locomotiva all'interno di una pellicola a livelli dove troviamo, tra i tanti "boss", l'eccezionale Tilda Swinton e il magnifico Ed Harris, ancora una volta nei panni di una divinità umana (dopo l'emblematica parte in The Truman Show e qualche altro personaggio d'alto rango come il villain di 40 carati), un dio sceso in terra per salvare la sua manica di fedeli che, per compassione (ma anche e soprattutto per necessità), decide di premiare il figliol prodigo offrendogli una bistecca e, assieme ad essa, la verità. Una verità che ovviamente non vi svelerò, ma che ribalta come un calzino tutto ciò a cui il pubblico ha creduto fino a quel momento. Bong Joon Ho calibra magistralmente ritmo e tensione attraverso crescendo dosati e un utilizzo sempre adeguato e mai eccessivo della sua sapiente tecnica cinematografica, grazie alla quale muove con fluidità la macchina da presa quasi senza spezzare la continuità narrativa nonostante il montaggio serrato di Steve M. Choe, che sostiene molto bene il ritmo della narrazione. Il film prosegue dunque senza sbavature, a metà tra la maestosità di una produzione hollywoodiana e l'imponenza tecnica del cinema orientale, e forse questo binomio potrebbe impedire alla maggior parte del pubblico di apprezzare la parte finale, debole dal punto di vista narrativo, che perde qualche filo della trama tessuta fino al momento precedente, ma che si riempie di simbolismi importanti tanto quanto la linearità narrativa, anzi, forse anche di più. La scelta coraggiosa dell'autore sta proprio nell'abbandonare la precisione di scrittura per dare spazio ad una speranzosa parte conclusiva in cui, perdonatemi per il breve spoiler (interrompete la lettura qualora non abbiate ancora visto il film), le nuove generazioni che mettono piede per la prima volta sulla neve si trovano di fronte alla meravigliosa possibilità di ricominciare da capo. Bong Joon Ho realizza forse uno dei più enfatici finali di questo 2014: due giovani si lasciano alle spalle la tecnologica e moderna arca sferragliante e restano ammutoliti e incantati da quello che sarà il loro futuro, che paradossalmente altro non è che il nostro ancestrale passato.
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