So critical so fashion, il Made in Italy etico

Creato il 25 gennaio 2014 da Lilianaadamo

di Liliana Adamo da Luxuryonline.

Quanto inquina l’industria della moda? Moltissimo, eppure un’alternativa c’è, viene “dal basso”, è verde, etica e indipendente.

Il primo evento di moda “critica” si è svolto a Milano (allo spazio AG22, via Alserio, 22), lontano concettualmente dalla kermesse meneghina dedicata alle passerelle e ai brand altisonanti. Erronea definizione quella di una tendenza low cost, tanto diffusa perché poco costosa, caratteristica che non rientra nel concept di “etico”.

La moda proposta a Milano da So critical so fashion, primo caso del genere in Italia, ha le sue regole e i suoi “credi”: innanzitutto lavorare in maniera eco-sostenibile, sostenendo la scelta di quel “consumo critico” tanto sollecitato quanto poco diffuso, riportare il contatto tra la gente, invece di relegarla in spazi esclusivi per addetti ai lavori e giornalisti del settore; incontrarsi, quindi, giocando con il glamour, rilassandosi con le tante iniziative collaterali.

Dressed Up e Terre di Mezzo hanno curato un evento dalle numerose e interessanti sfaccettature: corner di vendita diretta per i brand che puntano a una produzione esclusivamente eco, show room di presentazioni per le nuove collezioni P/E 2011. Un inedito open shooting, dove ciascuno può essere protagonista di un vero reportage, dal make up allo style, per finire davanti all’obiettivo di fotografi professionisti.

In tema di moda, So critical so fashion, induce a riflettere su molti e diversi fattori: l’industria del tessile è una delle più inquinanti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima ogni anno 22 milioni di morti per i pesticidi utilizzati nella coltivazione del cotone e 1 milione di persone ammalate per svariate ragioni legate al settore. Soprattutto, si avverte il bisogno di contrastare l’idea basata sul consumo selvaggio, dell’usa e getta, che produce una tale mole di rifiuti tessili, causando un problema ecologico e ambientale. Una nuova consapevolezza che può favorire l’industria di moda italiana, poiché gran parte della produzione arriva dall’estero. Per non parlare del gap sociale che investe i salariati del Sud Est Asiatico cui, negli ultimi anni, è stata affidata la manodopera per la produzione mondiale. Per loro, ancora non esistono controlli, né tutele.

Attraverso l’esperienza dei laboratori pratici allestiti durante la manifestazione, chiunque può aver provato, in prima persona, a ricreare, tessendo, cucendo e recuperando il materiale preesistente, comprendendo, in un certo senso, perché i nostri materiali, soprattutto se prodotti in Italia, hanno un costo inequivocabile.

Chi sono questi rivoluzionari creativi, che apportano idee fresche e nuove al Made in Italy etico? Altromercato/Chico Mendes ha presentato tutti pezzi unici, fatti esclusivamente a mano, con materiali estratti dalla natura e lavorazioni artigianali, utilizzando filiere produttive di provata trasparenza, rispettando i diritti dei lavoratori e dell’ambiente.

Francesca Caira col suo marchio, Caira Design, si dedica alla ricerca e al riciclo dei tessuti, rielaborando forme e accostamenti. I capi subiscono una sorta di destrutturazione, arricchiti da una sapiente manualità sartoriale e d’accessori vintage. Gli abiti non sono mai seriali ma, anche in questo caso, diventano pezzi unici. Ecologina vanta creazioni totalmente riciclate, una linea moda di qualità che prende forma dai tessuti di scarto inutilizzati dalle aziende tessili, tutto rigorosamente made in Italy. Laboratorio Isola, che ha ideato lo staff organizzativo di Dressed Up, realizza una ricerca stilistica con tessuti innovativi, un esempio chiarificatore è nella prima collezione: “Mi vesto di latte”, creata interamente con Milkofil, prodotto tessile derivante dalle proteine del latte.

Di grande interesse gli esperimenti di social fashion che hanno riguardato il Laboratorio Lavgon,Manitese e Palimodde. Il primo, nato nel 2004, crea abbigliamento con tessuti made in Italy, sete di Como, lane altoatesine, lini, canape, bambù biologici toscani, avvalendosi di specifiche comunità straniere, con cui il marchio è entrato in contatto diretto, come il gruppo di donne lavoratrici in Laos. Riciclando gli scarti di queste produzioni si fanno anche accessori e complementi d’arredo, cuscini, tappeti o marsupi, borse e deliziose pochette. La seconda griffe è tra quelle più conosciute per appartenere a una cooperativa sociale che lavora a stretto contatto con l’ONG cambogiana M’Lop ‘Tapang e che promuove contemporaneamente l’istruzione e la formazione professionale dei bambini di strada, favorendo il loro reinserimento nelle famiglie d’origine.

L’ultima firma ha rivelato l’esperienza esemplare di Sergio Palimodde, sarto artigianale, sardo, figlio d’arte, che trasforma ogni tessuto in un capo unico. A Milano, nel 2006, ha lanciato il suo brand con una linea dalle influenze rock, ispirata al cinema e all’arte contemporanea


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