Social media e sviluppo umano
PHILIPPE AIGRAIN*
I social media sono software o siti come le webzine (riviste su Internet), i forum online, i blog, i social blog, i microblog, i wiki, i social network, i podcast; siti che raccolgono fotografie, immagini o video, o che svolgono content rating (classificazione dei contenuti) o social bookmarking (condivisione in rete dei propri preferiti). I social media permettono di svolgere delle attività creative ed espressive, e non solo di comunicare: sono molto più importanti di social network come Facebook o di siti 2.0 come YouTube. I due social network sopra citati continuano a ricevere attenzione perché sono gestiti da grandi aziende e raccolgono numerosi utenti grazie ai loro servizi centralizzati. Eppure è lecito pensare che questi grandi servizi centralizzati vadano contro la logica emancipata dei social media.
I social media permettono a ognuno di noi di dare il proprio contributo alla cultura e alla società; mettono nelle nostre mani la comunicazione, la produzione e la distribuzione di attività che, prima dell’avvento di Internet, erano accessibili solo a una manciata di grandi aziende. E al cuore dei social media ci sono i blog. Ogni qual volta leggerete o sentirete dire che i blog sono un’idea superata, pensate a questi dati: secondo le rilevazioni della NM Incite (una consociata della Nielsen/McKinsey) nell’ottobre 2011 c’erano 173 milioni di blog, il 17% in più dell’anno prima; la loro velocità di crescita ha toccato l’apice nel 2009 (il 62% di crescita in un anno) per poi rallentare, sicuramente perché alcuni autori avevano cominciato a usare Facebook per postare contenuti che prima mettevano sui loro blog. I blog, compresi quelli di fotografia, audio e video, sono fondamentali perché sono la casa telematica di un individuo, il suo personale spazio informazionale pubblico (con sezioni private dove, per esempio, si possono conservare le proprie creazioni non ancora pubblicate). E naturalmente c’è chi ha più di un blog, proprio come c’è chi ha più di una casa, e può invitare i lettori a uno dei suoi blog proprio come si possono invitare gli amici a casa propria. Parlando di autori che scrivono narrativa e poesia sul web, il romanziere François Bon ha definito i loro blog e siti personali «alberi i cui rami sono il laboratorio aperto del processo creativo» (si veda Après le livre, Seuil 2011, in formato e-book sul sitohttp://publie.net).
I social media sono tipici della cultura digitale perché affondano le proprie radici negli individui. Naturalmente, se li chiamiamo social è perché i suddetti individui entrano in contatto e interagiscono, comunicano tra loro, sviluppano attività e progetti per mezzo dei social media. Oltre ai blog esistono tutte le tecnologie e i software che li collegano gli uni agli altri; PING che avvisano un sito della pubblicazioni di nuovi contenuti, RSS feed che permettono di inserire la visione dei contenuti di un sito in un altro, tag e bookmark condivisi, oppure l’uso del microblogging per consigliare o criticare dei contenuti, e così via.
Il potenziale sviluppo umano derivante dai social media nasce da una combinazione senza eguali:
- il fatto che l’individuo possa progredire nelle sue attività creative, espressive o produttive a piccoli passi, nessuno dei quali richiede un investimento troppo ingente di tempo ed energie o l’acquisizione di nuove abilità;
- il fatto che gli scopi di questo processo di sviluppo siano totalmente sotto il suo controllo;
- il fatto che una larga parte delle espressioni culturali siano de facto accessibili e riutilizzabili, permettendo così a ognuno di noi di farne dei punti di partenza o delle fonti di ispirazione.
Bastano pochi minuti per aprire un blog su WordPress.com, ma il giorno in cui decidiate di passare alself-hosting (magari affidandovi a un hosting provider) potrete continuare a usare lo stesso software open source di WordPress e trasferirvi i contenuti del vostro blog. In altre parole, non sarete costretti a sacrificare l’autonomia in favore della comodità. Nelle comunità di scrittura letteraria online la cosa che più mi colpisce è la frequenza con cui gli autori decidono di cambiare le proprie piattaforme o il loro aspetto per adattarle a nuovi progetti o scopi. Non c’è alcuna differenza tra lo scegliere gli strumenti, e a volte addirittura svilupparli, e i contenuti per cui sono usati. Come è ovvio, le persone hanno competenze diverse: le più difficili da acquisire riguardano l’uso delle parole o delle immagini e l’interazione sociale. Ma i social media forniscono una gigantesca scuola en plein air per lo sviluppo umano.
Questo potenziale è minacciato da alcune tendenze contemporanee. La prima ha a che fare con quello che spesso abbiamo dato per scontato su Internet: il fatto che la produzione di un individuo sarà sempre ragionevolmente ricercabile, accessibile e tramessa tanto quanto la produzione di una società internazionale o di un governo. Questa neutralità di Internet, sua caratteristica fondamentale, è minacciata quando si accede alla rete tramite dispositivi mobili o specializzati come lettori di e-book e persino quando ci si collega con la normale connessione domestica. Gli operatori telefonici, in particolare i membri dell’ETNO (cioè gli ex monopolisti) stanno cercando di inserire dei provvedimenti nella revisione del trattato dell’ITU (International Telecommunication Union). Se ci riuscissero, non sarebbe altro che un coup d’état privato contro Internet.
Ho già citato l’altro pericolo, dovuto alla centralizzazione dei servizi. Facebook ne è il caso più estremo, poiché ambisce a centralizzare non solo gli utenti e i loro dati, ma anche vari tipi di media che sarebbe meglio gestire separatamente. Anzi, nella cultura digitale è essenziale saper usare ciascun social medium per lo scopo per il quale è stato sviluppato, ad esempio servirsi del microblogging per formulare una breve idea o per suggerire o criticare un contenuto segnalato tramite un link abbreviato. A questo proposito, in pochi anni il microblogging è diventato un canale chiave per consigliare contenuti web (compresa l’autopromozione) e una forma di espressione unica, oggi celebrata nella “twitteratura” e nei festival di poesia su Twitter, e naturalmente accusata da altri ambienti di essere un inutile ronzio e di abbassare il livello della cultura. Twitter nasce da un’idea meravigliosa che è stata spinta con efficacia sul mercato. Eppure, la sua posizione dominante ha ben poco a che fare con qualsivoglia innovazione radicale abbia mai prodotto. Anzi, alcune delle innovazioni più importanti, come gli hashtag (le “parole chiave” segnalate dal simbolo #) e i re-tweet, sono riconducibili agli utenti. Twitter domina il mercato principalmente grazie ai suoi effetti di rete: è arrivata per prima ed è difficile spodestarla perché l’utente vuol essere dove sono tutti gli altri e ascoltare.
Una funzionalità “alla Twitter” può essere raggiunta su un’implementazione distribuita in cui i tweet e le interazioni di tutti gli utenti siano self-hosted o “ospitati” su server distribuiti. Prima o poi gli utenti di Twitter si accorgeranno che tutta la loro storia di microblogging è accessibile solo con grande fatica e con un sotfware “terzo”, usando delle API (Application Programming Interface), il cui utilizzo è soggetto a regole arbitrarie stabilite da una società quotata in borsa e spinta dai suoi azionisti a “monetizzare” gli utenti. A quel punto forse prenderanno in considerazione delle alternative, ma potrebbe essere troppo tardi. È meglio esplorare queste alternative oggi, anche solo per fare pressione su Twitter e altri servizi simili perché diventino più aperti.
* Philippe Aigrain è tra i fondatori di La Quadrature du Net, un collettivo per la difesa delle libertà dei cittadini su Internet. È autore di Sharing: Culture and the Economy in the Internet Age, Amsterdam University Press, 2012. Questo testo è stato preparato per la pubblicazione in occasione del suo intervento alla Social Media Week di Torino (settembre 2012).
(articolo tratto da La Stampa 24/09/2012)