
C'è anche Il piacere di Gabriele D'Annunzio, già, è un fatto storico. Che c'entra la lettura ora? Forse, l'appartenenza di quest'opera alla nostra tradizione crea ancora più fastidio, il suo corrispettivo (corrispettivo nell'immaginario pubblico, ovvio) oggi desterebbe meno scandalo, perché magari si finirebbe con il collocarlo nella sfera dell'effimero e del transitorio, un prurito, un effimero voyeurismo (data l'aura che avvolge questo romanzo). "Tradizione", invece, vuol dire far passare un'opera da un quadro astratto all'esperienza concreta, da un generico passato a un presente - e, dunque, a un futuro - che scongiura ogni cordone sanitario tra teoria e pratica. Da una parte c'è il raccontino storico che riguarda le ore di italiano a scuola o gli specialisti, dall'altra c'è l'incarnazione (di bradburiana memoria) della lettura.
Una buona volta: la lettura - come qualsiasi altra fruizione artistica e intellettuale - non è questione di libri, ma di persone. A nessuno, critici compresi, dovrebbe essere consentito di isolare l'esperienza di un incontro dalla propria biografia. La lettura di un'opera è destinata a persone che leggono, non a tecnici della lettura. Quanto deve essere grande il "preservativo" sulla Recherche? Lascio agli esperti il misticismo accademico e l'incontaminata infertilità dei guanti monouso, io devo godermi (o meno) l'esperienza che mi riguarda, che è il mio percorso di crescita e di conoscenza, senza black-list di sorta. Si legge quel che si vuole essere e fare e un libro (apprezzato o meno) è solo una tappa di un tragitto molto più complesso e umano.