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Sofia Scandurra: il ricordo

Creato il 08 settembre 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

La morte di  Sofia Scandurra, maestra del cinema italiano, è avvenuta proprio nei giorni fatidici della 71a. edizione della mostra d’arte del cinema di Venezia, ed esattamente il 29 agosto. Pensiamo sia un segnale, una logica. Sofia Scandurra ha amato moltissimo il cinema, è stato sicuramente una sua profonda ragione di vita, seconda soltanto a quella più intima, personale, l’amore verso le tre figlie. In una delle prime interviste fatte a Sofia, alla domanda: “Sofia, tra le tue opere, di scrittura, di pittura, di regie teatrali, di sceneggiature per il cinema, insomma nei tuoi tanti impegni nel mondo della cultura e dello spettacolo, ci dici ora, un po’, quale è il tuo lavoro più bello?”.  “Le mie tre figlie”, aveva risposto senza tergiversare un attimo. Sofia era una donna eccezionale, una umanità autentica. Quante volte ci è venuta in soccorso, Sofia, quando avevamo qualche difficoltà, noi della redazione, a trovare riscontri verso una informazione, un aneddoto, una curiosità, una lettura. Bastava alzare il telefono, comporre il suo numero e Sofia era sempre li, a sostenerci, a regalarci parte della sua immensa conoscenza sugli argomenti della cultura, dello spettacolo, dell’arte in generale. Sofia era davvero una immensa ed altruista memoria della storia della cultura.

Di recente, si parla di non più di tre mesi fa, Sofia ci aveva accompagnato al cinema Aquila, me ed il caro amico e collega Michele Nardecchia (dopo un pomeriggio trascorso a casa sua a parlare di cinema e dei ricordi del cinema) per la visione di un film, The Outsiders. Il cinema di Antonio Margheriti, che il regista  Edoardo Margheriti ha dedicato alla memoria di suo padre Antonio, che con il nome d’arte di Anthony M. Dawson  era stato uno dei più prolifici e geniali registi italiani del grande cinema di genere. Sofia era contentissima quella sera di fare la conoscenza del giovane Margheriti, finalmente, lei che era stata molto amica, e proprio fan, del papà. Fu una serata memorabile, ricca, come tutti gli incontri avuti con Sofia, e ripensandoci oggi, quella sera al cinema Aquila è stata l’ultima volta che abbiamo visto fisicamente Sofia, che l’abbiamo potuta abbracciare. Nessuno, quella sera, avrebbe potuto presagire questa cosa. Sono anche questi i misteri legati alla esistenza umana, tanto cari a Sofia, proprio alla sua esperienza, alla sua cultura, alla sua poesia della esistenza, alla sua vita da artista pura.

Il cinema era proprio il grande amore di Sofia, lo nutriva sin da ragazza, era l’impegno da offrire. Il suo era davvero l’amore, proprio per  “il lavoro del cinema”  come lo chiamava.  Non si era mai risparmiata nei tanti set in cui ha offerto, donato, versato il suo amore, e questo soprattutto nel grande e gravoso lavoro di aiuto regista. Proprio questo: Sofia Scandurra amava fare benissimo il suo lavoro per gli altri, per donare agli altri quella ricchezza artistica naturale che la nutriva e la guidava.  Quanto avranno giovato di questa sua bontà, di questa sua volontà e della sua preparazione i tanti registi a cui lei ha prestato, in un subordine autorevole  (una qualità delle grandi donne),  la sua opera. Pensiamo in questo momento a Luigi Zampa, soprattutto,  con cui Sofia ha realizzato quelli che pensiamo restano i film migliori dell’ultimo periodo di Zampa: si va da Il medico della mutua, 1969, a  Gente di rispetto, 1975, una lunga fila di ben sette film che passano anche per Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata, 1971, e Bisturi, la mafia bianca, 1972. E pensare che Luigi Zampa, in un primo momento, non voleva assolutamente accettare nel suo set un aiuto regista donna.  Zampa, forse in una sorta di grande misoginia, d’altronde molto diffusa nel periodo, diceva che nei suoi set le donne non erano desiderate, venivano ammesse solo se svolgevano ruoli di attrice, parrucchiera o sarta. Invece Sofia Scandurra veniva già da un grande e nutrito lavoro nel cinema, veniva da set proprio difficili, aveva lavorato anche e con onesto rigore con più di quattrocento comparse al giorno, aveva fatto anche l’esperienza dura di lavorare a due film in uno, dove nella stessa giornata  “bisognava portare a casa le scene più costose di tutti e due i film messi insieme”.

Come diceva Sofia: “giù i mantelli, su i mantelli”, “monta a cavallo, scendi dal cavallo”, “impugna la spada, ora colpisci”, “brandisci la spada”. E fu, ricorda Sofia, una dura lotta quella di farsi accettare da Zampa.  Sofia arrivò addirittura  a sfidarlo proprio sul piano quasi della umiliazione, ad accusarlo, con una serie di esempi, della misoginia più codarda e codina, tanto che Zampa fu costretto ad indietreggiare nelle sue convinzioni. E quando Zampa era ridotto quasi all’estremo dai serrati confronti Sofia Scandurra tentò l’ultimo colpo: “Mi provi Zampa, senza contratto. Se non le vado bene me ne andrò dal set, lei non sentirà di avermi licenziato, ed io non mi sentirò licenziata. So di essere più brava di tanti aiuti maschi, mi provi solo una settimana”. E Zampa: “venga domattina alle otto”. Ricorda Sofia che Luigi Zampa disse questa cosa qua con una rapidità simile ad un fulmine  “come se temesse proprio di ripensarci”. Era soprattutto l’amore che Sofia aveva per “il lavoro nel cinema” che le aveva fatto amare moltissimo, dopo il grande cinema di genere, quello che era davvero il cinema fatto per il popolo. In questo contesto Sofia aveva firmato, oltre che da aiuto, anche da sceneggiatrice, titoli di fortissimo impatto popolare nel periodo. Qualche titolo: Le gladiatrici,  1962, Taur, re della forza bruta, 1963, diretti entrambi da Antonio Leonviola, che diventerà poi il marito di Sofia, anche  Ercole l’invincibile, 1964, per la regia di Alvaro Mancori, un noto e preparato direttore della fotografia che passava per la prima volta alla regia di un film. Noi lo pensiamo decisamente: Alvaro Mancori, che era anche il produttore del film, avrà potuto fare finalmente questo esordio alla regia proprio perché protetto dal coscienzioso lavoro di aiuto di Sofia Scandurra. Il lavoro di sceneggiatrice di Sofia Scandurra, anche la sua formazione culturale che la indirizzava giustamente entro una visione femminista,   “umanamente femminista”, come teneva a precisare, la porterà poi a firmare un importante film di Damiano Damiani, La moglie più bella, dove esordiva una splendida  Ornella Muti, una sceneggiatura che sottolineava uno dei primi estremi film di denuncia contro l’identità mafiosa, una identità pericolosa e violenta che cominciava a farsi largo tra i meandri dei poteri, delle amministrazioni pubbliche e della politica italiana.

S.Scandurra

Ma nel frattempo, nonostante il suo impegno nel cinema cresceva sempre più, soprattutto dal punto di vista autoriale e creativo, Sofia Scandurra non abbandonerà ancora il suo lavoro di aiuto regista; ricorreranno a lei registi esigenti e rigorosi, ma anche quelli decisamente alle prime armi: Nino Manfredi, per il suo acclamato  Per grazia ricevuta, 1971, Mario Camerini, per Don Camillo e i giovani d’oggi, 1972, Dario Argento, per  Le cinque giornate, 1973, la pellicola rimasta la più lontana dall’abituale tematica del regista, Adriano Celentano, con il suo Yuppj Du, 1975, che per noi resta assolutamente il film più bello e compiuto di Celentano regista. Nel 1976 Sofia Scandurra è decisa a tentare la regia di un film finalmente tutto suo. Lo farà con Io sono mia, 1977, tratto dall’opera letteraria di Dacia Maraini, Donne in guerra. Il film vedrà un cast di attori importanti, Stefania Sandrelli, Michele Placido, Maria Schneider, Francisco Rabal, Gisella Burinato,e la peculiarità di essere un film gestito, tecnicamente ed amministrativamente, da sole donne. Questo film, nonostante il buon successo di pubblico e di critica, resterà il suo unico film da regista. Eppure un nuovo copione era stato già scritto e definito, finanche approvato dal produttore, Silvio Clementelli, che si era impegnato anche con parecchio entusiasmo a produrlo. “Perché poi il progetto sparì dalla circolazione?”. Sofia Scandurra ci aveva risposto così: “Il progetto c’era, si chiamava Professione: madre,  e Clementelli era davvero contento di farlo. Ma improvvisamente, come poi spessissimo accade nel mondo del cinema, il film non si fa. Chiedo spiegazioni a Clementelli, che fino al giorno prima aveva avallato e difeso il progetto, e lui mi risponde di averci ripensato. Il copione, riletto da Clementelli, diventava un progetto contro la famiglia. Lui invece diceva di amare tantissimo la famiglia classica, di adorarla, e di non avere più voglia di parlargli contro. Io gli spiego che non è cosi, il copione parla soltanto di una famiglia diversa. Ma niente da fare, Clementelli ha deciso. A questo punto avrei dovuto riprendermi il copione e portarlo ad un altro produttore. Invece non l’ho fatto, sono solo scoppiata a piangere. Comunque poi quel copione è diventato un romanzo, Complesso di famiglia, edito dalla Bompiani Editore”. 

Poi, anni dopo, è venuta fuori quella che è la vera  motivazione dell’improvviso rifiuto del produttore. In quei giorni Clementelli aveva ricevuto un nuovo progetto sull’identico tema della famiglia, Piso Pisello, 1981, firmato dal regista Peter Del Monte, che trattava della storia di un tredicenne che diventa padre. Evidentemente Silvio Clementelli aveva preferito questo tipo di richiamo sulla famiglia piuttosto che il progetto della Scandurra. Come diceva Sofia: “ha semplicemente preferito il progetto di Peter a quello mio. E questo ci può stare…”.  Ma Sofia Scandurra, nella sua lunga carriera culturale, ha fatto sempre cose diverse, come il teatro ad esempio, ed ha pubblicato tantissimi romanzi e racconti, all’inizio firmati con lo pseudonimo di Lazzarina, perché il suo vero nome non piaceva agli editori. E poi c’é molta televisione nel suo curriculum, inchieste dalle tematiche davvero forti, dal profondo senso civile, tra i tanti: Prigionieri di coscienza, L’incesto, La prostituzione. Ma Sofia Scandurra non aveva assolutamente rimorsi, né rimpianti per come le cose in fondo si erano indirizzate. Diceva: “ho semplicemente spostato gli interessi culturali da un campo ad un altro, ma portando sempre come base primaria la mia esperienza”. Ormai il suo impegno era soprattutto rivolto all’insegnamento (anche se negli ultimi tempi era tornata a rivedere una sua sceneggiatura) ed alla sua amata scuola. La L.U.C., Libera Università del Cinema, che ha sede nei pressi di Roma, a San Cesareo, che lei stessa ha fondato nel 1983 insieme a generazioni storiche del cinema italiano come Cesare Zavattini, Alessandro Blasetti, Antonio Leonviola, Alberto Lattuada, Turi Vasile, Leo Benvenuti, Calisto Cosulich. Il suo lavoro nell’insegnamento è stato un ritorno, molto sentito, poiché per anni era stata docente di regia cinematografica all’Istituto di Scienze cinematografiche di Firenze, alla Sapienza di Roma ed alla gloriosa scuola del Centro Sperimentale di Cinematografia.. Il suo ultimo libro,  Cinema e Ceci, piace pensarlo come ad un testamento artistico, ed in sostanze certamente lo è. Qui Sofia, protetta dallo pseudonimo del personaggio, Michela (in realtà sta parlando di se stessa), compie un viaggio esistenziale e professionale, finanche poetico e filosofico, soffermandosi spesso e con amore verso quelle personalità, meglio sarebbe chiamarli amici, che nella sua realtà professionale ha stimato e voluto bene davvero. Perché Sofia era cosi: amava davvero i suoi amici.

Dalle pagine di  Cinema e Ceci  leggiamo,  e con questa pagina ci piace davvero salutare ancora una volta  Sofia Scandurra:

spesso Michela a bordo della sua automobile nelle strade di Roma aveva incontrato i camion del cinema, parcheggiati ed aperti: facilmente riconoscibili dalle dimensioni e dalle caratteristiche interne. Per anni aveva frenato di colpo e riabbracciato gli amici, oggi d’istinto frena, poi riavvia il motore senza scendere, non ha voglia di verificare che tutta quella gente che ingombra i marciapiedi sia ormai una generazione diversa dalla sua. 

Claudio Gora, Danilo Donati, Mauro Bolognini, Armando Nannuzzi, Aldo Tonti, Pietro Germi, Mario Camerini, Danilo Marciani, Ugo Tognazzi, Bernardino Zapponi, Federico Fellini, Tullio Pinelli,  Turi Vasile,  Francesca Romana Coluzzi,  Luciano Martino, Nino Manfredi… il mondo del suo cinema è altrove.

Raggiungerli, prima o dopo, sarebbe toccato anche a lei, ma non voleva andarsene da questa terra finché con gli occhi della memoria non avesse potuto guardare il film della sua vita, controllando le sue buone e cattive azioni per prepararsi a esaltarle o a giustificarle.  

Ciao Sofia.

Giovanni Berardi 


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