Proseguo sull’argomento affrontato nel post di ieri, spostandomi questa volta maggiormente sugli aspetti economici. Siamo abituati a suddividere le risorse e i beni in due tipologie, privati e pubblici, tuttavia esiste un terzo gruppo, quello dei beni comuni (in inglese common property resource o piu’ semplicemente commons) beni e risorse che gruppi di individui condividono e sfruttano insieme. Possiamo chiederci se il modello del software libero rientri in questa categoria.
(autori: Shinya Kawanaka, Yevgen Borodin, Jeffrey P. Bigham, Darren Lunn, Hironobu Takagi e Chieko Asakawa)
Si fa spesso confusione tra beni appartenenti ad un ente pubblico e beni comuni, la differenza era molto piu’ chiara un tempo, quando vi erano dei terreni che non appartenevano ne’ a privati ne’ al Re/Stato/Regione/Comune. Gli antichi romani distinguevano tre tipologie di proprieta’: res privatæ beni di proprieta’ di singoli individui o famiglie; res publicæ beni di proprieta’ degli enti pubblici; res communes i beni utilizzati da tutti.
Ultimamente questo argomento sta ridiventando oggetto di discussione ed analisi anche in abito economico, grazie anche a Elinor Ostrom che, con i studi sulla governance delle risorse comuni, ha vinto il Premio Nobel nel 2009.
Il software libero, cosi’ come l’informazione condivisa e la conoscenza diffusa (che ne sono il fulcro) hanno pero’ un qualcosa in piu’ rispetto ad altri beni comuni, sono infatti risorse il cui valore aumenta con l’incremento della condivisione.
La condivisione e la cooperazione sono tanto piu’ importanti quanto maggiore e’ la loro rilevanza sociale, culturale ed economica, il suo modello con una struttura diffusa puo’ mettere a rischio le “rendite” di altri modelli, a struttura centralizzata, che per difendere la propria posizione usano tutti i mezzi possibili per limitare e impedire la diffusione della conoscenza.
L’ampia diffusione di questo strumento da la possibilita’ di sfruttare appieno le caratteristiche di risorsa comune della conoscenza, per dar vita a una rivoluzione culturale, tecnologica e sociale, cosi’ come avvenne con l’invenzione della stampa a caratteri mobili.
Proprio grazie alla “rivoluzione digitale” la partecipazione alla condivisione di conoscenza e l’interazione culturale sono diventate molto piu’ ampie e semplici da realizzare. Il rovescio della medaglia e’ la nascita di strumenti tecnologici in grado di limitare o controllare queste forme di partecipazione, condivisione e cooperazione.
Le informazioni e la conoscenza possono essere scambiate e condivise senza per questo diminuirne il valore, anzi, proprio grazie alla condivisione ne aumenta il valore. Eppure troppo spesso si rinuncia a questo enorme valore sociale della conoscenza diffusa pur di appropriarsi del piccolo valore privato di un frammento di conoscenza. Nascono cosi’ strumenti quali i brevetti e il copyright, che artificialmente includono le idee tra i beni scarsi. In questo modo pero’ non solo si ostacola la concorrenza, ma si limita anche l’evoluzione di quelle idee, anzi, si limita la condivisione di tante altre idee. Lo stesso avviene a causa della creazione e dell’utilizzo di strumenti chiusi che consentono, a chi li detiene, un controllo delle informazioni che vengono scambiate attraverso di essi, strumenti che impediscono l’utilizzo di altri strumenti che consentirebbero la diffusione della conoscenza e l’innovazione.
Possedere strumenti che rendono possibile controllare e limitare la diffusione della conoscenza da un potere enorme, il potere di stabilire quali informazioni possono essere diffuse e quali no, quali informazioni siano importanti e quali no, il potere di appropriarsi di conoscenze altrui e di impedire agli altri di utilizzare, condividere e accrescere la propria conoscenza. Le informazioni e la conoscenza devono poter essere scambiate e condivise liberamente.
A tal proposito c’e’ una quartina attribuita la poeta sardo Melchiorre Murenu (anche se non si e’ sicuri sia proprio sua) che recita cosi’:
“Tancas serradas a muru
Fattas a s’afferra afferra
Si su chelu fit in terra
L’aiant serradu puru”
in italiano:
“Grandi terreni chiusi coi muri
arraffati con cupidigia
Se il cielo fosse stato in terra
Avrebbero chiuso anche quello.”
Non lasciamo che vengano costruiti dei muri che ci impediscono di condividere e cooperare.
Approfondimenti:
- Perche’ il software non deve avere padroni
- The Commons as an Idea – Ideas as a Commons
- The Cornucopia of the Commons
- Map of Essay: Property, Commoning and the Politics of Free Software
[^] torna su | post<li> |