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Arrivo ad Astapovo Brianza alle cinque, del pomeriggio questa volta. La primavera è scoppiata improvvisa, il sole scotta e ci sono nuovi fiori tra i cespugli incolti. Dopo l'energica camminata per arrivare fin qui non mi va di stare al sole, c'è troppo caldo. Ma la stazione è chiusa da anni, non c'è più niente: tutto sbarrato, niente sala d'aspetto, niente biglietterie, non un filo di ombra, anche le obliteratrici sono divelte. Me l'aveva detto l'altro giorno un controllore dell'Eurostar: trenitalia è come la mutua, mangia quella sbobba e sta zitto. Le frecce sono il privato: il cliente paga e viene soddisfatto. Lì per lì non avevo tempo di sollevare perplessità sulla quella millantata quanto dubbia soddisfazione: stavo discutendo perché non volevo pagare il biglietto della freccia su cui ero salita abusiva, visto che il mio interregionale (no, nome cambiato: regionale veloce sic! anzi sigh!) era annunciato con 50 minuti di ritardo. Ma non avevo più diritto di salire sulla freccia, perché io ero un cliente delle mutua. Da esserne fieri: mio padre tutta la vita è stato orgoglioso di essere un competente e appassionato medico della mutua.