Ogni generazione ha la sua cultura da strada, chiamiamola così, che fa presa su una larga fetta di giovani e diversamente adolescenti. Il bisogno di anticonformismo ordinario che va dal manager con suoneria dei Clash al maestro elementare che frequenta i rave è una testimonianza della doppia vita che resta latente in ciascuno di noi, ma si fa presto a considerarlo una valvola di sfogo alle presunte costrizioni della vita odierna, con cui è più facile fornire una giustificazione. Ma il punto è capire da dove nascono, in quale momento nei remoti anfratti della nostra vita. Voglio dire, ci gettiamo alle spalle i primi anni di appartenenza al genere umano per fare di tutto per distinguerci omologandoci con ciò che è di moda, per non far parte di quello che il senso comune fa passare come di moda. Pensate al controsenso con cui si conducono le esistenze. Non penserete vero che giocare agli afroamericani del ghetto o ai punkabbestia nomadi sia uno spin off della società, vero? È la stessa cosa, baby, tutto è calcolato, ogni deviazione ha un suo canale youtube di riferimento o una sua community di hacker che ne infrange le regole – che a loro volta ne infrangevano altre – per una catena infinita di derivativi che poi, alla fine, uno si stufa anche e arresta il sistema. Ma se ci riferiamo all’aspetto più alla luce del sole di tutto questo, evidente malgrado i protagonisti se ne stiano ben nascosti a provare balletti corali negli androni sovradimensionati delle metro o nei loro ritrovi da addetti ai lavori sognando comunque che passino punti di riferimento del calibro di Maria De Filippi o dei suoi amici, ci attrae oltremodo la curiosità che spinge sempre nuovi adepti tra le braccia di questo consumo apparentemente sotterraneo di cultura alternativa. Da sempre, perché anche chi vi scrive ha i suoi trascorsi e i suoi scheletri nell’armadio. Se mi posso permettere, però, il sedicente rap e quel tipo di cultura lì che impiastra i vagoni della metro, oltre ad aver rotto un po’ il cazzo ha altrettanto sparigliato le carte perché così di basso livello (sempre nel senso informatico, ovvero di vicinanza al linguaggio macchina ma voi intendetelo un po’ come volete) da aver pervaso tutto trasversalmente. Ve la ricordate, vero, la metamorfosi dello specifico da CSOA, quando dall’hardcore si è passati alle varie posse. Nel frattempo tutto è diventato hip hop ma lo era già vent’anni fa quando un ragazzino dei quartieri popolari che aiutavo a studiare aveva la sua ghenga con i saluti che nemmeno Spike Lee e scriveva sul suo zaino Invicta i motti più arguti degli Articolo 31. Pensa te. E pensa te ora, con le bande di latinos e i nordafricani e gli italiani di periferia al confino che inneggiano a Fabri Fibra. Vedete, poi tutti mirano al contratto con le major mentre dall’altra parte gli utenti disagiati pensano di mettersi in fuga da tutto ciò che è commerciale ma non sanno che fanno parte di un target su cui molti brand sono già appostati e pronti a lanciare le loro esche. Ecco, proprio Fabri Fibra di questi tempi è seguitissimo tra i più giovani e si dice anche che sia il miglior rapper in circolazione. Che poi non fa rap, lui è uno che straparla sulla musica. Voglio dire, i rapper sono altro, Caparezza per esempio, molto bravo a scrivere testi in rima pieni di metafore e recitati alla velocità della luce. Fabri Fibra parla a tempo sui suoi pezzi, e se lui è un rapper allora lo sono anche gli Offlaga Disco Pax. Dimostratemi il contrario.
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