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Solaris (1972)

Da Elgraeco @HellGraeco

Sempre difficile parlare di questi film che, da soli, rappresentano ciò che più amo nella fantascienza, ingiustamente considerata genere minore. Non c’è altro campo che, col fascino e la leggerezza del racconto, si avvicini a sfiorare l’esistenzialismo, quei grandi interrogativi che ci poniamo in quanto esseri e in quanto specie sempre più vicina al prossimo, decisivo passo evolutivo. La fantascienza non è genere. È vita, è filosofia, è proiezione verso l’infinito. Quando rasenta la filosofia, è inarrivabile per qualunque altro motivo del racconto.
Solaris (1972) fu tratto da una novella di Stanislaw Lem, per la regia di Andrei Tarkovsky. Non sprecherò parole vuote e inutili, per quanto altisonanti. Esso entra, di diritto, tra i film che adoro. Uno tra i tanti motivi è perché riesce, con maestria, a mostrare il contatto e la comunicazione con l’altro, l’intelligenza aliena, in modo sobrio, elegante, verosimile, attraverso un insieme di scene, che a ben donde potrei arrivare a definire visioni, all’apparenza indecifrabili, ma di rara bellezza, che suppliscono all’altrimenti necessaria voce narrante fuori campo.

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Solyaris

Solaris è un pianeta interamente ricoperto d’acqua. In orbita attorno ad esso, in una stazione scientifica, un gruppo di studiosi ne analizza la conformazione e l’incessante attività vorticosa della superficie. Ricche, fantastiche e definitive sono le esperienze dei pochi che hanno avuto l’occasione e l’ardire di scendere nella sua atmosfera per esaminare Solaris più da vicino ed effettuare qualche ripresa video. Nella nebbia che lo cinge di un manto impenetrabile, strane apparizioni turbano le menti e le coscienze degli scienziati, negate, però, dalle testimonianze video che non mostrano alcunché.
Mentre sulla Terra si dibatte sulla bontà e sulle cause di tali allucinazioni, una serie di incidenti, alcuni dei quali morti violente, sulla stazione orbitante, via via abbandonata dai suoi occupanti, spingono le autorità per l’invio su Solaris del Dott. Kris Kelvin che dovrà prendere contatto con i tre scienziati che ancora proseguono nella loro missione e far luce sull’accaduto. Una delle ultime teorie vuole che il pianeta stesso sia una forma di intelligenza aliena che sta tentando, al pari degli umani, attraverso una serie di apparizioni mutuate dai ricordi celati nelle menti degli stessi scienziati, di entrare in contatto.

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Curiosità

# La versione originale e completa dell’opera, della durata di 165 minuti, contenente parti con audio originale in russo sottotitolate, non apparve prima del 1989, anno in cui fu proiettata al New York’s Film Forum theatre. Questo ritardo si attribuisce a presunti divieti di esportazione e censure poste all’epoca della realizzazione dalle autorità dell’allora Unione Sovietica.

# Solaris fu girato tra Russia e Giappone. La scena del viaggio di ritorno di Berton sull’autostrada è stata ripresa, in effetti, tra Osaka e Tokyo e venne inserita, nonostante la lunghezza, interamente nel montaggio per giustificare il viaggio all’estero della troupe. Si scelse Tokyo come location perché, già negli anni ‘70, la capitale mostrava un assetto futuristico che risultava particolarmente confacente alle esigenze sceniche e impressionante per il pubblico sovietico.

# È quasi certo che Andrei Tarkovsky non ebbe la possibilità di vedere “2001: Odissea nello Spazio” (1968) prima di girare il suo Solaris. Quindi sono da escludere possibili influenze della cinematografia di Stanley Kubrick sul regista russo.

# Stanislaw Lem, l’autore del racconto, non fu soddisfatto della resa della pellicola che, a suo dire, si era troppo concentrata sulla psicologia erotica dei protagonisti diversamente che nel libro.

# Nel libro di Lem, il nome della protagonista femminile Hari è pronunciato Harey, anagramma di Rheya, un probabile riferimento al titano Rhea, sposa di Crono/Saturno, colui che domina il Tempo e sorella di Oceanus, quest’ultimo incarnato dal pianeta Solaris.

# Il dipinto mostrato nelle scene finali del film è “Cacciatori nella Neve” del 1565 di Peter Bruegel il Vecchio (1525-1569).

[fonte: sezione "trivia" della scheda su "Solaris" su IMDb]

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L’arte di indugiare

Non è fantascienza per tutti. Ragion per cui, se vi piacciono pistole laser e combattimenti spaziali tra astronavi, statene alla larga. Farne a meno non vi danneggerà di certo. Lo dico perché “Solaris” non si può e non si deve vedere con l’intento sbagliato. Ne deriverebbe, in caso contrario, una tortura di oltre due ore. Questo è ingiusto nei confronti dell’opera e nei confronti dello spettatore. Simpaticamente, definisco questo tipo di fantascienza “adulta” proprio per l’assenza di certe tematiche popolari [spade laser, viaggi interstellari, alieni] che pure, chiariamolo, adoro.
Questo film affronta temi seri e fascinosi, sui quali riflettere. Alla fine, impossibile dare un giudizio non parziale e non viziato dai propri gusti e interessi. A me è piaciuto, ma io, come voi tutti, sono il risultato delle mie esperienze personali.
Il modo di fare cinema di Andrei Tarkovsky mi piace, pur percependolo oggi come inesorabilmente lento e rarefatto. In tempi veloci come questi, assistere a scene lunghe, prive di stacchi che non vadano a indugiare su dettagli apparentemente privi di importanza, quali possono essere le inquadrature di alghe smosse dalle correnti acquatiche, sembra quasi un oltraggio. Eppure, trovo la purezza della fotografia, caratteristica anche dell’altro suo lavoro, “Stalker”, unica nel suo genere. Appagamento visivo, innanzitutto. E poi attori asserviti alla storia, tipici del luogo e di tempi strani che appiattivano qualsiasi sorgere di individualità, o che almeno io percepisco in questi termini, forse sbagliando, forse no.

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L’Altro

Quello dell’altro, della presenza e della percezione di un altro essere intorno a noi, del modo in cui tale percezione avviene e della portata del suo significato è un motivo difficile, ma sublime. Esso richiede maestria nel tentativo della propria rappresentazione e grandissima capacità di immedesimazione nello spettatore. Le apparizioni, le presenze, definite dagli scienziati su Solaris semplicemente gli “ospiti”, costituiscono una rottura col quotidiano e con il razionale. Esse mettono in discussione il tempo e lo spazio, oltre che la ragione stessa dell’uomo. Difficile dire cosa si potrebbe provare trovandosi di fronte a una persona che si sa essere morta, ma che invece esiste perché estratta dagli stessi ricordi, dalla memoria che di quella persona si conserva. Immagine riflessa di esistenza, immortale perché composta di energia, eppure reale, dotata di coscienza, di intelligenza e di ricordi di una vita fittizia, ma vera perché custodita gelosamente dentro di noi.
Gli “ospiti” sono il mezzo, il linguaggio che la superiore intelligenza di Solaris, agghiacchiante e fantastica proprio nel suo essere “altro” da noi stessi, nel suo essere aliena e diversa, usa per parlarci, impiegando, come in ogni analisi oggettiva, le emozioni più forti e insieme più distruttive che serbiamo in noi stessi. Vecchi rancori, vecchie colpe, rimorsi sepolti che ci hanno ferito in modo indelebile, che ci hanno fatto crescere, che ci hanno segnato. Solaris muta il proprio aspetto, la propria essenza, diviene monade delle memorie umane. È essenza, significato e fuga.

Approfondimenti:
Scheda del Film su IMDb
Mio articolo su “Stalker” (1979) di Andrei Tarkovsky


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