Solidarietà ai disoccupati

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo

Perdere il lavoro, di primo acchito, stuzzica la solidarietà degli altri.

Quando, un po’ sotto voce, un po’ vergognandoti, confessi ad un amico, un parente, un conoscente, di aver perso il lavoro, dapprima vedi lo sguardo stupito nei suoi occhi. A volte vedi persino la delusione, quel pensiero sottile che gli sfiora, spingendolo a chiedersi perché non glielo hai detto prima.

Poi, fuggevole come la speranza quando fai click su un bottone di “invia curriculum”, gli vedi passare negli occhi anche l’orrore, la repulsione per quella tua condizione. Il “povero sfigato” della situazione.

Infine, inesorabile come la lama della ghigliottina, ecco che scatta. L’impulso. Proprio non riescono a farne a meno, te lo devono dire, è più forte di loro.

“Senti ma…… hai provato a guardare su questo sito? So che cercavano” oppure “Hai provato a mandare il cv a questa o quella agenzia interinale? Di sicuro loro hanno qualcosa fra le mani” e così via.

Consigli, dritte, messaggi massonici del tipo “Ho saputo che la Barilla cerca gente, ma io non ti ho detto niente eh…”, sussurrati nei vicoli e ai ritrovi del venerdì. Tutti hanno un amico di un cugino di un fratello che conosce qualcuno che a sua volta conosce qualcuno che forse sta cercando qualcuno.

Gli sembra di far del bene, così, di estenderti la loro aura di fortunati perché non solo hanno ancora un impiego, ma sanno anche darti delle preziosissime dritte su dove trovarne un altro. Poveracci loro, cercano davvero di farlo per il tuo bene, di aiutarti. Senza nemmeno ricordarsi esattamente cosa facevi, o senza sapere esattamente cosa facevi.

“ah, il marketing. No no interessante….” Ti dicono, poco convinti. E intanto pensano che te la vuoi tirare con paroloni all’inglese e quell’aria da snob, ma che in fondo in fondo, sotto sotto, sei una segretaria, e che ci vorrà mai a trovare un altro porto da segretaria?

Tutti hanno la segretaria, vuoi che non ci siano fuori a iosa posti da segretaria? Perché la fai tanto lunga? Scuotono il metaforico capo, e non capiscono, nemmeno i più illuminati, non fatevi illusioni: ad un certo punto, tutti vi guarderanno con quella faccia. Quella di chi non te lo dice per non ferire i tuoi sentimenti, e poi…..E poi, ancora, scatta, inesorabile. La frase.

Quelle paroline.

Il “ma si dai, tu prova intanto a mandare. Sai com’è, se ti prendono poi si accorgono di quanto sei brava, e di lì è un attimo a mandarti avanti” detto con quello sguardo un po’ di rimprovero di quando la mamma ti diceva di non fare tanto la schizzinosa e mangiare le tuo passato di verdura, che non ti avrebbe ucciso ma anzi, ti avrebbe fatto bene (anche se tu sapevi che l’unica cosa che ti faceva era andare a…va beh).

E a te, ecco che, ti viene da pensare ai film.

Il “Vai avanti tu che a me mi vien da ridere” o il “Vieni avanti cretino”…. O quella scena di “I love shopping” dove il receptionist impietosito dalla tua delusione ti sussurra che no, dove volevi fare il colloquio il posto è già stato preso (dalla super-figa, super-immanicata, sciacquina di turno), ma che alla sfigatissima pubblicazione di serie D cercano, e che il Gruppo è come “una famiglia” e perciò “una volta che sei dentro, sei dentro”.

Sembra di avere davanti tante saccenti repliche di quella bastarda della Ministressa, reincarnata in amici, parenti, conoscenti e sconosciuti. Vorresti sputargli, ma ti limiti a ingoiare l’orgoglio e sorridere, dandogli ragione. Tanto, con le lauree ti ci sei già pulita il… fino ad ora, che differenza fa una volta ancora? (tiè, pure la rima).

Dopotutto, loro, poverini, lo fanno per il tuo bene… e non è colpa loro se ti fanno sentire ancora più inetto se, con tutto quel bendidio di aziende che offrono posti di lavoro come se piovesse, tu non trovi niente.

Voglio dire, ceccavolo: uno dei 2000 favoleggiati posti da MacDonald, dovrà pur esser tuo no? Basta chiedere (….e che tu non sia troppo qualificato).

Ma insomma, chiedere non costa nulla.

Provate a chiedere ai vostri amici di smetterla, e vedrete. Non costa nulla.

Quasi quanto farsi dare dell’ingrato, così, aggratis.


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