L’espressione è quella da duro, che ti guarda dritto negli occhi mentre, con una stretta di mano forte e sicura, sembra volerti sfidare: “Non mi fai paura anche se sei grande” pare dirti con quegli occhi che ti scrutano!
Il viso invece no, quello è liscio e pulito in linea con i suoi 15 anni compiuti da poco. E’ un viso allungato verso l’alto da capelli rasati sulle tempie e da un ciuffo che sembra stare dritto da solo: come se fosse anche lui teso a sfidare il mondo.
<<Perché sei quì?>> gli chiedo, dopo che s’è seduto sul divano accanto alla madre che me lo ha portato.
<<Dico le bugie>> mi risponde con uno sguardo che, a quel punto, non è più tanto sicuro se stare dritto o puntare più in basso.
Iniziamo a parlare e ricostruiamo la sua storia. Sta finendo il primo anno delle superiori e già da un po’ racconta agli altri una realtà falsa o “falsata” della sua vita.
Dice che va a scuola quando non ci va; nega l’evidenza anche quando viene smascherato e racconta di allenarsi due volte a settimana con una squadra di calcio importante, piuttosto che con quella della sua città.
Parliamo e analizziamo la sua vita fatta ora di pullman al mattino presto per andare a scuola, semi-convitto per evitare che resti per strada e per fare i compiti, rientro a casa a sera sempre con il pullman.
I genitori sono separati da più di 10 anni e suo fratello maggiore, è adesso più impegnato di prima con il lavoro.
<<Mamma è rigida>> mi dice.
<<Lei la fa troppo facile e da le punizioni; mi ha levato anche la moto.>>
<<Io mi sento solo!>>.
La moto è partita dopo che lui l’ha utilizzata tre volte per andare in giro marinando la scuola. L’ultima di queste tre volte, ha anche preso una multa visto che doveva correre per rientrare a casa e non fare tardi.
La madre, lì accanto, lo lascia parlare con libertà. Mostra grande disponibilità ad ascoltare e a ricevere qualunque cosa Marco voglia tirar fuori. Del resto è lei che lo ha convinto a venire in consulenza e vuole davvero fare il meglio per questo figlio.
Lui prosegue sempre più nel pianto mentre racconta la sua versione della realtà (anche questa è una bugia?).
E’ bello ascoltarlo e guardarlo sciogliersi con quelle lacrime. Sembra già di aiutarlo un po’. Pare di veder sgorgare insieme alle lacrime tutta la tensione che aveva accumulato in questi mesi di menzogne.
Mentre lo osservo ripenso a quando da piccolo, mio padre mi insegnava che bisogna dire la verità perché “per ogni bugia che si racconta, ce ne vogliono altre due per coprirla” e così non si finisce più.
Ripenso a quelle parole e immagino quanto peso Marco debba aver accumulato sulla sua “coscienza”.
Quando gli dico che piangendo si sta liberando, lo ammette con un rapido cenno del capo.
La sua situazione non mi sembra troppo grave. E’ buono, è educato, non è un vero deviante e non lo diventerà se sapremo dargli le risposte adatte; quelle che lui cerca ora, per sentirsi un po’ meno solo.
La situazione che mi fa più riflettere invece è quella della madre. Osservandola, da genitore a genitore, mi immedesimo un po’ in lei: donna separata, con due figli maschi e un lavoro da portare avanti.
Immagino la logica che l’avrà guidata nel fare per Marco le scelte che ha fatto, organizzandogli la vita così come lui la vive ora. Eppure lui… si sente solo!
Nemmeno quella logica quindi, neppure il desiderio di proteggerlo per evitare che rimanga “solo” nei pomeriggi invernali di una città che non è la sua, sono bastati a far sentire a Marco le attenzioni della mamma.
Nemmeno l’intenzione di farlo seguire per i compiti è stata colta da questo figlio che, dopo gli anni in cui restava a casa con la baby sitter, ora si sente soltanto “espulso” da un nucleo in cui tutti sono troppo indaffarati.
Nemmeno le ore che la mamma gli ha dedicato restando con lui in auto a parlare, appena sceso dal pullman al ritorno da scuola, sono servite a fargli superare la solitudine.
Mi chiedo allora cosa serva ai figli per accorgersi della presenza dei genitori ma anche, quanto serva ai genitori per continuare a pensare che si sta facendo il meglio per i figli. Il meglio possibile s’intende, ciò che ognuno di noi può fare nella propria condizione.