Fuoco e rabbia, sale e tempesta.
Antigone contro Creonte, contro il mondo, contro la guerra.
Attorno a lei la ragione che brucia, gli spettri di coscienze assopite, la forza delle scelte.
I due fratelli Eteocle e Polinice giacciono nella polvere di Tebe, uccisi l’uno dalla mano dell’altro.
Ma Polinice, lo dice Creonte, è un traditore.
Ha mosso guerra alla sua città natale, a suo fratello, al suo stesso stato. Non può essere sepolto, il suo corpo deve essere pasto di cani e avvoltoi, sciogliersi al sole.
Le sorelle, Antigone e Ismene, dentro le mura, assistono sgomente alla decisione del re, ma la maggiore non ha intenzione di obbedire.
Di notte, esce dalle mura di Tebe, raggiunge il corpo di Polinice e, raccolto un pugno di sabbia, ve lo cosparge, effettuando i riti funebri.
Viene, tuttavia, sorpresa dalle guardie di Creonte, che la portano al cospetto del re, dinanzi al quale la ragazza rivendica con fierezza il gesto compiuto. Ella, infatti, si appella all’affetto fraterno, più forte della rabbia e alle leggi naturali degli dèi, eterne e superiori a quelle di un despota adirato.
Ma Creonte, offeso dal fatto che una donna abbia osato sfidarlo, non vuole sentir ragioni: arresta lei e Ismene, considerata complice, e ne decreta l’esecuzione. Subito Emone, figlio del re e promesso sposo di Antigone, cerca di far desistere il padre da un gesto tanto grave, ma questi lo allontana, deridendolo.
Tuttavia, Creonte, decide di scagionare Ismene e di procedere all’esecuzione della sola Antigone, che viene spedita in una grotta fuori da Tebe, ad attendervi la morte.
L’epilogo sarà tragico: la ragazza, pur di non sottostare a leggi che non riconosce come proprie, decide di togliersi la vita e trascina con lei l’intera città che, adirata e sgomenta, caccia il tiranno.
La tragedia di Sofocle, tuttavia, non si è fermata al suo tempo.
L’eterno scontro tra legge di Stato e legge morale, tra potere e forza interiore, ha, da sempre, ispirato ogni campo della cultura, dal teatro, all’arte, alla letteratura. Dalle rappresentazioni di Bertold Brecht e Salvador Espriu contro i rispettivi regimi oppressivi(Germania nazista e Spagna franchista), alla trasposizione moderna di Liliana Cavani nel film ‘I Cannibali’, aspra critica ad ogni tipo di tirannia.
C’era da aspettarselo: la libertà di decisione è propria dell’animo umano, indivisibile da esso, malgrado tutto.
E ogni qualvolta i totalitarismi, in ogni stato, l’hanno minacciata, Antigone è tornata alla ribalta, col suo carico irresistibile di dissidenza e ribellione.
Negli ultimi tempi, la storia dell’eroina sofoclea si è intrecciata a quella di alcune donne siriane in fuga dalla guerra, che, guidate dalla regista ‘Itab’ Azzam, hanno prodotto, insieme alla compagnia Aperta Productions, l’‘Antigone of Syria’.
La piéce, andata in scena dal 10 al 12 Dicembre scorso sul palco del Teatro Madina di Beirut, è nata come workshop di 8 settimane per 30 donne siriane dei campi di Sabra e Shatila, in Libano.
Il progetto aveva come scopo l’utilizzo dell’arte terapeutica per aiutare le giovani donne a superare le tragedie della guerra civile, riacquistando fiducia nella vita.
Scopo del tutto raggiunto, racconta Fadwa(69 anni), di origine siro-palestinese che nei conflitti ha perso un figlio e non ha potuto seppellirlo. “La recitazione- dice, infatti- è quel sorriso che disegniamo sul volto per nascondere le ferite interiori.”
Perché c’è sempre un punto dal quale partire per dire: “Basta.”
Perché, come ci insegna Antigone stessa, l’uomo “non è fatto per odiare, soltanto per amare.”
MorenaFlame