Noi italiani dovremmo avere una particolare attenzione per le “cose” somale, non fosse altro che per ragioni storico-politiche neanche tanto lontane nel tempo.
Invece di Somalia, a casa nostra, se ne parla sempre troppo poco oppure non se ne parla affatto.
Il panorama politico somalo continua a rimanere intanto complesso, a prescindere dai pesanti disagi che vive giornalmente la popolazione civile,che è già cosa gravissima in sé, anche ora che sembrava si fosse giunti al punto di mettere un po’ d’ordine e forse garantire un po’ di pace.
E mi riferisco agli accordi di Garowe che, entro agosto, dovrebbero essere rispettati con il beneplacito della comunità internazionale.
Ma il presidente del Puntland, Mohamud Farole, è già pronto a mettere i bastoni tra le ruote di una macchina che incede, già di suo, stentatamente e con molta fatica.
Egli, infatti, non ha fiducia in ciò che si sta convenendo e teme danni e scorrettezze per sé perché, a suo avviso, le spartizioni dei territori, quelli ad esempio a nord, dove c’è petrolio, favorirebbero alcuni a discapito di altri e tutto questo grazie a pressioni politiche forti in atto da sempre.
E l’uomo delle pressioni è Sheikh Sharif e il suo gruppo di potere, che conta, a detta di Farole, di buoni appoggi internazionali.
Pertanto Farole domanda una riunione d’emergenza a Nairobi o ad Addis Abeba dei protagonisti della Road Map, perché i politici somali e le personalità politico-diplomatiche di calibro internazionale interessate possano discutere seriamente il “caso”.
Sarà fatto ? Non lo sappiamo.
Probabilmente sì. E noi ci auguriamo che avvenga nella maniera la più indolore possibile.
Ma ciò significa continuare, comunque, ad alimentare dissensi tra le diverse regioni del Paese e i differenti clan lì egemoni, e suscitare inoltre contrapposizioni, anche violente, piuttosto che lavorare alla costruzione di un futuro Stato federale, garante dei diritti di tutti i somali, com’era negli intenti iniziali.
Per di più è giusto ricordare, a proposito di Somalia, paese islamico, le difficoltà che vive ancora oggi la minoranza cristiana presente su quel territorio.
Particolare non trascurabile di questi tempi se si guarda per un momento a cosa sta accadendo tra gli islamisti nell’Africa sub sahariana e non solo.
Infatti con l’Islam di quelle parti, l’Islam somalo, non si scherza affatto quanto a tolleranza nei confronti di altre confessioni religiose.
Per le Corti islamiche, finora dotate di pieni poteri, non esiste conversione alcuna- dicono gli esperti- ma solo apostasia per chi volesse passare dall’Islam al Cristianesimo.
E, dunque, per costui o costei la soluzione finale, una volta individuato/a, è quella della condanna a morte sicura.
Alcune fonti riferiscono di almeno un migliaio di cristiani, da dieci anni a questa parte, condannati a morte sommariamente e con l’imputazione, appunto, di apostasia.
In poche parole i cristiani di Somalia vivono come animali braccati costantemente.
Anche questo problema, per quanto difficilissimo da affrontare e certo non agevole da risolvere, ottimisticamente parlando solo forse a piccolissimi passi e in tempi lunghissimi, deve comunque allertare la comunità politica internazionale prima che essa prenda certe decisioni.
Occhi e orecchi ben aperti, dunque. Non esistono solo affari e petrolio.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
In basso la cartina geografica indicante la Somalia e il Puntland