Il mix di siccità, aumento dei prezzi alimentari e la grande instabilità politica, ha provocato la grande crisi alimentare somala. Circa un milione di persone hanno la reale possibilità di morire di fame (circa il 50% del totale). Ma il problema si sta riperquotendo in tutto il Corno d'Africa.
"Dobbiamo evitare una tragedia umana di vaste proporzioni. E mentre l’assistenza alimentare è adesso la priorità, dobbiamo anche aumentare gli investimenti sostenibili in interventi di breve e di medio termine che aiutino gli agricoltori e le loro famiglie a proteggere le loro attività e a continuare a produrre cibo" [fonte]
Ma i gruppi integralisti islamici che controllano una parte del paese, non lasciano entrare le Ong dicendo che l'Onu sta esagerando nel descivere la situazione: "C'è siccità in Somalia, ma non carestia, quanto viene dichiarato dalle Nazioni Unite è 100% falso".
In molti si sono mobilitati, tanti i paesi che hanno dato un contributo economico, per ragiungere gli 1,6 miliardi che, Ban ki moon ha sostenuto, ci vogliono per affrontare la crisi del Corno d'Africa.
Di seguito riporto un articolo dell'Iinternazione in cui vengono raccontate le esperienze peronali di gente che vive questa tremenda quotidianita (per l'intero articolo, qui):
Un buco nero“È una siccità di proporzioni inimmaginabili, come non succedeva da decenni”, afferma Abdi Nasir Serat, il portavoce delle truppe governative nella regione somala del Basso Juba. La guerra civile l’ha resa ancora più devastante. “È stata la guerra a mettere in fuga queste persone, che vanno in cerca di condizioni di vita più sicure”, dice Serat. Secondo gli operatori umanitari a Dadaab, molti rifugiati sono partiti in seguito alle minacce di Al Shabaab. Si parla di intimidazioni ai contadini e di rapimenti di ragazzi costretti a unirsi ai miliziani. La maggior parte dei nuovi arrivati a Dadaab sono donne e bambini. I pochi uomini rimangono a sorvegliare quello che resta del bestiame o a combattere nella guerra civile. Nonostante il trauma del viaggio e il complicato processo di registrazione nei campi, che a volte può durare giorni perché le procedure cambiano in continuazione, chi raggiunge Dadaab è fortunato. Norwo, madre di sei bambini, e Ibrahim, padre di nove, non hanno particolari aspettative. “Siamo talmente affamati, disperati e poveri che non abbiamo idea di dove andare. Il problema principale è la fame e la nostra speranza più immediata è il campo profughi”, dice Norwo. Per quanto caotico possa essere il complesso di Dadaab, se Norwo e Ibrahim riusciranno a portare i figli in tempo per ricevere le cure mediche, probabilmente li avranno salvati dalla morte per fame. Dadaab è la scelta migliore perché a Dobley, come in altre zone del sud della Somalia, non ci sono infrastrutture per gestire la carestia e l’assistenza medica è insufficiente. Gli abitanti di Dobley devono andare a Liboi per ricevere le cure necessarie. Probabilmente Dadaab è riuscita ad attirare l’attenzione della comunità internazionale ma la Somalia continua a essere un buco nero agli occhi del resto del mondo. Più di due milioni di somali soffrono la fame e i profughi interni sono circa un milione. Il fatto che nel paese operino poche organizzazioni umanitarie – a causa dell’insicurezza e delle difficoltà amministrative, ma anche del fatto che Al Shabaab le ha costrette a lasciare il paese – ha creato un circolo vizioso. In assenza di organizzazioni internazionali, i mezzi d’informazione si disinteressano alla Somalia e non danno notizie sulle condizioni nel paese. Così la comunità internazionale non si sente sollecitata a inviare aiuti. Un somalo su tre ha bisogno di assistenza e, secondo quanto denunciato dalla Fao a marzo, un bambino su quattro è malnutrito. Secondo Serat, se tornassero le organizzazioni umanitarie si potrebbe evitare la catastrofe in alcune zone del paese. Negli ultimi vent’anni è stato estremamente difficile lavorare in Somalia ma il governo transitorio sta facendo pressioni sulla comunità internazionale perché torni a occuparsi del paese. Di recente i miliziani di Al Shabaab hanno dichiarato di essere disposti a far entrare le organizzazioni umanitarie nelle aree da loro controllate, anche perché, come riferiscono alcune persone interne al gruppo, perfino i combattenti islamisti subiscono gli effetti della carestia, che ha influito negativamente sulle loro possibilità di spostarsi, di fare provviste e sull’umore della popolazione civile. Questo potrebbe tradursi nell’effettiva possibilità per le organizzazioni umanitarie di stabilire una collaborazione efficace con il governo transitorio e Al Shabaab. Mentre stiamo in piedi sotto un albero, a Dobley comincia a piovigginare. Dalle nuvole gonfie sopra di noi arrivano gocce rinfrescanti che filtrano attraverso le foglie. Ma poi, così com’era cominciata, la pioggia improvvisamente si ferma.