Vi siete mai chiesti come nasce una canzone?
Sicuramente sì. Saprete quindi che nasce nello stesso modo in cui nasce una poesia, un dipinto, un romanzo: nasce dall’urgenza di raccontare (e raccontarsi), dal desiderio di rendere materia un pensiero, dalla spinta a condividere le proprie emozioni.
Al mondo esistono milioni di canzoni; più o meno belle, più o meno note.
Quella di cui voglio parlarvi oggi è una canzone che fa capitolo a sé; è stata scritta tanti anni fa, sicuramente non la conoscete.
Era in tonalità minore, uno swing.
Della stessa canzone esistevano due versioni quasi gemelle, tanto simili eppure tanto diverse.
La prima era in inglese: testo immediato, senza troppi giri di parole.
L’altra era in italiano: testo ostico, tutto costruito per metafore.
I due testi ruotavano attorno ai medesimi temi: smarrimento, incomprensione, tradimento della fiducia, tradimento del cuore. Momenti di difficoltà.
In questa similarità c’era un’unica, curiosissima differenza: il ritornello.
Quello in inglese era tutto un’accusa, un prendere di petto la situazione, un «vai a quel paese» (se non sbaglio a ricordare, si chiudeva con un «fuck you»).
Quello in italiano era la rassegnazione tradotta in parole; una tristezza infinita, un buio tunnel senza fine. Nessuna speranza, nessun conforto.
Perché riproporre questa canzone proprio oggi?
Perché riproporla proprio qui?
La ripropongo oggi perché finora ho sempre pensato che ogni aspetto della vita avesse la sua doppia versione: inglese e italiana.
Finora.
Oggi mi ritrovo a pensare che potrebbe esserci anche una versione ibrida, con la strofa in italiano e il ritornello in inglese.
O viceversa.
La ripropongo qui perché… perché questa è casa sua.
Il mio blog.