Era solo il diavolo che era: Charles L., il più potente degli uomini, e il più elegante. Aveva più passati di quante calze abbia la maggior parte della gente. Va' avanti, prendi un passato, uno qualunque. Erano tutti uguali per lui: pantani sabbiosi e vicoli, salette di bar e celle di prigione, gangster cattivi dal grosso culo di lusso e raccoglitori di cotone piegati verso il basso...
Charles Liston, detto Sonny, era un poco di buono da cui non ci si poteva che aspettare che crimini e anni di galera. Charles Liston, detto Sonny, non sapeva leggere né scrivere ed era nato in un luogo che non figurava in alcuna mappa e che le gente chiamava Pantano di sabbia. Charles Liston, detto Sonny, aveva la pelle scura, viveva in un posto di piantagioni di Ku Klux Klan e secondo ogni logica era in quello stesso posto che doveva morire. Charles Liston, detto Sonny, era il più grande pugile, il campione che l'America attendeva e che a un certo punnto l'America tradì: o forse, più semplicemente, fu lui a tradirsi.
Il diavolo e Sonny Liston: il titolo dice già molto. E se non vi piace la boxe - a me non piace - non importa. Anche se la detestate, non importa. Sarà che le storie di boxe, le grandi storie di boxe, sono sempre impastate di grandezza e miseria, sono poesia dolente. Sono albe livide, cadute nella polvere, sangue in bocca, lama dritta al cuore.
E questo libro di Nick Tosches non è solo una grande biografia, è romanzo, è improvvisazione jazz.
Storia di un campione maledetto che la boxe la scoprì in prigione - fu il reverendo del carcere al mettergli i guantoni alle mani. Storia di un uomo che poteva ben dire: La prigione non mi dispiaceva. Tanto se la portava dentro, tranne provare ogni volta la Grande Evasione.