Un errore concettuale molto comune è quello, indotto dal linguaggio naturale, di considerare transitivo il verbo "desiderare", ovvero di presupporre che esso regga un complemento oggetto o, più semplicemente, che esista una relazione tra l'atto del desiderare e il qualcosa che viene desiderato.
Se così fosse, il desiderio sarebbe solo il percorso che conduce dalla necessità alla sua estinzione e basterebbe veramente poco per capire se esso è soddisfacibile (ovvero reale) o invece possiede un carattere di impossibilità (irrealtà). Per quanto ciò possa sembrare logico, tuttavia, esso presenta una falla strutturale che si palesa nella constatazione che difficilmente l'oggetto del desiderio è realmente (e in modo duraturo) in grado di estinguere l'ipotetica causa che sta provocando la sua esasperazione.
Sarebbe più semplice se si partisse dal presupposto esistenziale che desiderio e oggetto coincidono e, di fatto, non si desidera mai qualcosa, ma è la constatazione dell'assenza di un "qualcosa" ad innestare il meccanismo del desiderio. Così, riportando l'esempio di Sartre sulla sete, non si beve perchè si ha sete, ma piuttosto si desidera l'acqua in quanto momentaneamente assente dall'organismo. Dunque, l'oggetto, apparentemente così scorralato dal generico atto del "desidera" diviene la sua anima e il "desiderio" generico scompare per dar spazio ad una tendenza ben precisa.
Ma ancora il problema non è risolto. Assenza implica possibilità e possibilità significa tendenza alla libertà. In altre parole, l'uomo, grazie ad una continua "assenza" si protende verso i più disparati oggetti, surrogati del suo irraggiungibile essere, ma pur sempre necessari nella dinamica di un moto esistenziale. Se pertanto l'assenza è intrinsecamente negativa (ovvero nasce dalla negazione della presenza), essa è anche positiva (ovvero pone le basi per un protendersi) e quindi la sua estinzione trasporta, in egual modo, il carattere negativo della perdita di necessità e quello positivo (ma drammatico) dell'impossibilità verso il possibile. Usando le parole di Lacan, l'angoscia è l'assenza dell'assenza, cioè, è l'assenza di quel potenziale che attiva la protensione.
Sembra quindi che l'uomo, in quanto incapace di afferrare il suo essere, debba necessariamente desiderare per poter continuare a "muoversi", ma che tale desiderio debba, a sua volta, restare costantemente sospeso in un limbo di irragiungibilità per poter svolgere correttamente il suo ruolo. L'oggetto del desiderio, in quanto tale, è insignificante, ovvero non dona senso al processo del desiderare, ma semmai ne qualifica la funzione, senza tuttavia rendere chiaro il perchè ontologico che regge l'intero sistema. La significazione del desiderare è infatti legata al vuoto, al niente che dovrebbe essere colmato, ma che resta costantemente tale in virtù della natura dell'uomo.
Se volete un consiglio, smettete di pensare di desiderare qualcosa e concentratevi sul fatto che desiderate tout-court.
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