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di V. I. Sono nata femmina … purtroppo! Questo è stato il commento che ha accompagnato la mia nascita: eppure non avevo fatto ancora nulla di male, avevo pianto sì, ma come ogni neonato che si rispetti! Anche Leopardi lo diceva …” è funesto a chi nasce il dì natale” ma non ne faceva una questione di sesso!
Ho cercato poi di riscattarmi, sopportando gioie e dolori, anche immensi e devastanti, senza mai nemmeno vagamente desiderare una diversa origine.
Ho partorito due volte in poco più di mezz’ora invitando chi stava accanto a me a continuare a dormire e fare finta di nulla.
Ho sempre lavorato molto facendomi carico di impegni anche gravosi non lamentandomi mai ma sorridendo per le opportunità che mi si offrivano.
Ho amato e amo indistintamente i figli, pur essendomi sentita dire, all’ospedale, che ero stata molto brava quando è nato mio figlio e molto fortunata quando è nata la femmina… fortunata perché avevo già un maschio!
Ho sofferto pianto gridato spesso in silenzio, per non disturbare chi mi stava intorno, per non sentirmi dire che erano lacrime da femminuccia.
Tutto ciò per non alimentare la considerazione fin troppo sfruttata che vede la donna soltanto come “Il femminile dell’uomo”
Sono convinta che le cose, se non sono cambiate in migliaia di anni, non cambieranno mai più per una serie infinita di motivazioni; certo sono migliorate ma, se siamo ancora qui a parlarne vuol dire che c’è ancora molta strada da fare. Sostengo infatti che ciò che è acquisito non ha bisogno di conferme, come la condizione dell’uomo … o no?
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Sono nata femmina… per fortuna! – Postfazione di Rina Brundu.
Be’ non credo siano state proprio queste le parole che avrà usato mio padre quando sono nata, certo è che uno dei primi e più cari ricordi di bambina è quello del mio nome scritto in materiale metallico dorato attaccato al cruscotto della sua R4 bianca. Quel nome rimase lì per anni e poi andò perduto quando l’auto fu venduta. Darei chissà che cosa per riaverlo!! In quell’immagine tutto l’amore che mio padre non mi ha mai fatto mancare in un solo istante della sua vita. Ma quell’immagine – insieme a mille altre della mia infanzia e a mille altri momenti – per me è anche simbolo di un raro background autoctono che promuoveva ancora le ragioni di una Sardegna matriarcale a mio avviso adesso completamente svanita. Sicuramente ha avuto un ruolo molto importante nel formare la mia coscienza di donna moderna che non ha mai neppure sentito l’esigenza di diventare femminista. Non serviva!
La storia di V.I. racconta un’altra versione dei fatti. Così come un’altra versione dei fatti la raccontano ogni giorno le notizie dei “femminicidi” che stanno avvenendo in Italia. “Femminicidio” è un termine che non mi piace. Lo trovo obsoleto. Radical-chic. Invasivo. Tuttavia, a ben guardare, è davvero l’unico che possa raccontare con esaustiva drammaticità la “mattanza” femminile del momento. “Mattanza” femminile che è sempre avvenuta comunque.
Terrificanti anche le frasi che scrive V.I. “Ho partorito due volte in poco più di mezz’ora invitando chi stava accanto a me a continuare a dormire e fare finta di nulla.” E ancora “Ho sofferto pianto gridato spesso in silenzio, per non disturbare chi mi stava intorno, per non sentirmi dire che erano lacrime da femminuccia”.
Potrei commentare in molti modi credo, però – fatto salvo tutto l’affetto a V.I. – in questo momento mi vengono solo in mente le grandi donne sarde che io ho sempre ammirato e mi viene pure in mente un’unica minimalistica considerazione: Ma un calcio nelle palle, no? Altro che condizione acquisita dell’uomo!
Featured image Erika Jong fotografata a Venezia da Klaus Zaugg, anni ’70 fonte Wikipedia.