Ceno tardi, alle undici di sera, con la Tv accesa che rimanda le immagini della folla radunata davanti alla questura di Lecce, dove da qualche ora è stato fermato un uomo accusato di essere l’autore dell’attentato di Brindisi. La voce fuori campo dice che tutta quella gente è in attesa di guardare in faccia l’uomo che ha ammazzato Melissa Bassi, dice che c’è il pericolo di un linciaggio. Guardo con attenzione il filmato, tra le persone che si accalcano ci sono molti ragazzi, la maggior parte di loro cerca continuamente una scusa per passare davanti alla telecamera, hanno i cellulari ben appiccicati all’orecchio, forse si tengono in comunicazione con qualcuno a casa che li rassicura sul fatto che li stanno inquadrando. C’è chi si volta da un lato, chi dall’altro, provando il profilo migliore, sono vestiti in maniera raccapricciante, uno di loro si è legato una vistosa fascia in testa su cui spicca il marchio di una multinazionale di abbigliamento sportivo, prova a fare uno sguardo truce, si sfrega le mani come un picchiatore in attesa della vittima da pestare. Il suo problema principale è che né lo sguardo né il modo in cui si è acconciato sono minimamente credibili. Quel ragazzo, come la quasi totalità delle persone in attesa davanti alla questura di Lecce, risponde a un istinto biologico, vive in una società che approva la vendetta violenta e la ritiene inevitabile. La differenza tra me e lui è che anch’io, irrazionalmente, sfogherei la mia violenza istintiva contro un uomo che in maniera abietta ha privato due genitori di una figlia sedicenne. Solo che tra me e l’istinto violento interviene un elemento di mediazione culturale che segna il limite tra il comportamento normale e la barbarie. Il mio comportamento aggressivo, cioè, è contenuto da alcune barriere culturali che mi sono auto-imposto in nome della forma di civiltà in cui credo. Però, per fare questo, mi accorgo di compiere ogni momento della mia vita una forzatura su quella che presumo sia la mia vera e più profonda natura. Ragiono di questo mentre guardo la scena di un linciaggio in fieri. E la conclusione a cui arrivo è sorprendente: sono più umani loro.
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