Le tre. Lancette immobili segnano la stessa ora ormai da giorni,da mesi. Non hai voluto che sostituissero l’orologio,dicevi di sentirti più sicuro lontano dal tempo che passa,avvolto in quella staticità fittizia che tutto sospendeva e allontanava. Parlavi con una voce bassa e roca,non tua. Non eri più tu,ma questo non era necessariamente un male.
Ci siamo odiati per così tanto tempo che la prima volta che sono entrata in questa stanza speravo fossi morto. Trovavo estremamente ironico che ti fossi ricordato di chiamare me,la persona di cui ti eri sempre scordato ed ero pronta a ricambiarti con la stessa carta,forte della vita che mi ero costruita da sola e che avrei potuto sbatterti in faccia. Non mi aspettavo di trovarti così. Fragile,vecchio,incapace anche di respirare da solo. Puzzavi. Non ti eri mai occupato di me ed ora,senza chiedere per favore,mi presentavi quello spettacolo pietoso e sapevi che non avrei mai risposto di no a quella domanda che non ti eri nemmeno preso la briga di pormi.
Le tre. Sempre le tre. Cercai di scandire il tempo con il mio respiro,ma nulla andava avanti. O indietro.
Sono rimasta immobile come quell’orologio per anni. Ti aspettavo. Rendevo impeccabile la mia vita solo per mostrartela,così saresti stato fiero,così saresti rimasto. Anni d’attesa,aspettando che mio padre si accorgesse di me. Anni di telefonate il giorno dopo il mio compleanno perché credevi che fosse quella la data giusta,anni di tempi sbagliati,di recite non viste,di notti lasciata da sola a casa perché tu non potevi badare a me,anni di speranze tradite,di abbracci agognati e di domande a cui non ho mai avuto risposta.
In quella stanza senza tempo ero ritornata la bambina in attesa. Ti domandavo:”Dove sei stato?” quando avrei voluto chiederti.”Perché non eri con me?”. E mi parlavi dei tuoi viaggi,della vita che avevi vissuto,del tempo che era trascorso sulla tua pelle rendendola rugosa e grigia. E io non c’ero. Mai. Sono sempre stata solo l’ombra di un errore. Ma ero li. Era deprimente osservarti nel sonno,vedere la tua pelle grinzosa piena di ematomi,di aghi e di cerotti;sentire il rantolo che era diventato il tuo respiro riempire questa stanza come se fosse l’unico suono udibile. Ma tu queste cose non le hai mai sapute,perché in quella stanza io ero la bambina in attesa e tu il padre assente,della donna che sono diventata nemmeno una traccia. Come sapevi annientarmi tu non lo sapeva fare nessuno.
Sono le tre. Ed erano le tre quando sono entrata questa mattina nella stanza e ho visto il letto vuoto. Erano sempre le tre quando ho capito che il vuoto di quel letto non si sarebbe mai più colmato come il vuoto che ho nel petto. Le tre quando mi scese la prima lacrima,le tre quando tutte le altre – bloccate da anni nei miei occhi così uguali ai tuoi – decisero di scendere tutte insieme ed inondare le mie guancie,i miei vestiti e la poltrona su cui sono seduta ormai da ore.
Sono solo le tre. Ho tempo per ritornare la donna che sono,ho tempo per essere ancora quella bambina in attesa, in questa stanza immobile e sospesa. Ormai aspetterò per sempre.
V.