Ho disamato i propri sogni;
Sole mi restano le pene,
Che vengono di cuore vuoto.
Alle bufere di crudele sorte
Avvizzì la fiorente mia corona;Io vivo triste, solitario,
E aspetto: verrà la mia fine?
Così, da tardo gelo colta,
Della bufera all'invernale fischio,Sola sul ramo dispogliato
Palpita un'attardata foglia.
Aleksandr Puškin, 1821, in Poemi e liriche, Einaudi, Torino 1960 (traduzione di Tommaso Landolfi)
Io no, difficilmente, sopravviverò ai miei desideri, stante così le cose. Io, infatti, desidero forsennatamente, ma non so esattamente cosa, mi sento perso per questo, mi guardo intorno alla ricerca disperante di modelli degni di essere imitati e, cazzo!, non ne trovo alcuno.I media pullulano di merdosi lacchè che indorano le supposte del potere per renderle più gradevoli alla plebe. Anche i tribuni della stessa sono penosi e più li guardo e più me ne allontano. Cosa mi resta allora da desiderare, a parte quelle due o tre piccole pulsioni che si dibattono tra mente e sesso e che soddisfo alla meno peggio? Niente che valga la pena per cui mettersi in gioco nell'arena dei desideri dati. Saltare di classe, come un parvenu qualsiasi, tipo quelli russi che si sono trovati con le azioni buone delle aziende statali post comuniste e sono stati bravi a leccare il culo della causa nazionalista giusta, trovarmi in uno yacht pieno di fighe e di caviale, mentre uno stronzetto di rockstar mi strimpella una canzonetta per il mio gusto, forse è questo che potrei desiderare? O forse potrei desiderare un pompino a ventosa della Santanchè? Ti piacerebbe. Non mi piacerebbe. Dipende dalle circostanze. È più facile che un cammello me lo faccia un pompino. Una cammella, meglio. Resto immobile. Non sono abbastanza intelligente, volitivo meno, le mie doti sono limitate come quelle di una foglia. Palpito, m'attardo e resto solo, dispogliato, e prima o poi mi depilo il pube per vedere l'effetto che fa. Chissà se poi mi ritorneranno i riccioli. Sennò piangerò.