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Domanda retoricissima e scontata: può un film di Marco Bellocchio essere definito 'minore'? E può un film di Marco Bellocchio risultare banale, fine a se stesso, un semplice esercizio di stile?
Le risposte le lascio a voi, a me preme soltanto informarvi che dallo scorso weekend è nelle sale Sorelle Mai, l'ultimo film del regista piacentino passato fuori concorso all'ultima Mostra di Venezia, e vi consiglio vivamente di non perderlo. Qualcuno potrà definirlo 'un gioco', altri 'un ricercato divertissement', ma questo piccolo lungometraggio, fortemente autobiografico, girato a costo zero durante le vacanze estive e realizzato addirittura nell'arco di un decennio, può definirsi davvero un 'gioiellino' (con buona pace di Molaioli e del suo film).
Un lavoro che è nato quasi per caso, senza nemmeno prevedere una futura distribuzione, con un cast di parenti e amici a cui solo in un secondo momento si sono aggiunti attori 'veri', che comunque hanno prestato la loro opera assolutamente gratis, come in un momento di 'ricreazione'. Un progetto casuale, assolutamente libero, senza alcun condizionamento da logiche di mercato e per questo veramente genuino, spensierato, leggero come mai abbiamo potuto riscontrare in un film del 'Maestro'.
Sorelle Mai non è un'imprecazione... Mai è semplicemente il cognome delle due donne protagoniste della storia, due arzille vecchiette che fanno da fulcro a una trama che le vede impegnate a convivere con i delicati rapporti famigliari tra la nipote Sara, sua figlia Elena, il fratello Giorgio, tutti brillantemente interpreti di loro stessi. L'epicentro della storia è a Bobbio, il paese natale di Bellocchio, e questa ironica e tenera docu-fiction altro non è che un ritratto gioioso, appassionante e ricercato di una famiglia 'particolare', fatta di delicati intrecci umani, piccoli segreti, drammi sotto pelle, dilemmi e dispiaceri di figli e nipoti più o meno 'scapestrati'.
Tuttavia, a scanso di equivoci, Sorelle Mai è un film 'bellocchiano' al 100%, con tutte le caratteristiche dell'opera-omnia dell'illustre cittadino: simbolismi, iperboli, suggestioni, 'rabbia' filmica più o meno repressa, anche in un contesto apparentemente accomodante e ospitale come quello della famiglia. A fare la differenza è il registro del film, decisamente più spontaneo e brillante, che fa quasi 'simpatia', abituati come siamo alle 'atmosfere' complesse e irrazionali di tutti i film di Bellocchio, e che qui paiono stemprerarsi in un raccontino esile e dretto. Ma piano piano, andando verso il finale abbastanza 'sconvolgente', ecco che i nodi vengono al pettine e le tematiche profonde di un cineasta mai scontato e sempre coerentemente 'impegnato' non vengono meno neanche stavolta. Ma è meglio non dire altro per non rovinarvi la visione... vi basti sapere che gli attori sono bravissimi (compresi gli 'ospiti' Alba Rohrwacher e Donatella Finocchiaro), i dialoghi naturali e accattivanti, e che tutti i 110 minuti del film sono un' autentica delizia per gli occhi.
Quanto basta per convincervi a andare al cinema...
VOTO: * * * *
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