La rivoluzione italiana non è compìta: la monarchia l’ha fermata a mezzo. Bisogna compirla o perire: perire di lenta morte nella rovina economica, o di violenta nell’anarchia: sperare che si stabiliscano, prima d’averla compìta, condizioni di normale securità pel paese, è follia; e i sintomi crescenti ogni giorno provano nella realtà ciò che la logica insegna al pensiero. Per uscire dall’inerzia e avviarsi al fine, è necessaria una iniziativa. L’iniziativa non può uscire dalla monarchia, non può uscire dal Parlamento monarchico, non può dunque uscir che dal popolo. Il paese è maturo per accogliere e secondare il sorgere di questa iniziativa popolare: il desiderio d’un mutamento è universalmente diffuso in esso. I due soli ostacoli che s’attraversino a quel desiderio sono: incertezza diffidente sull’avvenire, alimentata da una stampa calunniatrice, mancanza di coscienza della propria forza. Bisogna vincere il primo ostacolo coll’apostolato, dichiarando ripetutamente ciò che la Repubblica è e ciò ch’essa non è. Separandosi lealmente e coraggiosamente dagli amici che traviano, e respingendo gli stolti concetti che sostituirebbero una tirannide all’altra. Il secondo ostacolo non può superarsi che coll’argomento col quale il vecchio filosofo provava allo scettico l’esistenza del moto, coll’azione; bisogna che una città provi, sorgendo e vincendo e vincendo, al paese che, volendo, si può. L’iniziativa Italiana diventerebbe rapidamente, se diretta da uomini che sapessero e osassero, iniziativa Europea. E scrivendo questa linea, m’è impossibile non aggiungerne alcune di sorpresa e lamento. L’orgoglio, quando si perde intorno a misere ambizioncelle dell’io e s’affatica a crear superiorità artificiali di ricchezza, di potenza o di quella fama d’un giorno che Dante paragonava a un color d’erba che va e viene, è colpa, e meschina. Ma l’orgoglio raccolto intorno all’anima dal ricordo dell’ultima parola dei martiri per una idea, dalla voce profetica di tutta una tradizione religiosamente interrogata, da una riverenza che adora ogni indizio di disegno provvidenziale, da un immenso amore per la terra che vi fu culla e ha le tombe dei vostri più cari, da un senso di vita collettiva che abbraccia quanti vi furono, sono e saranno più strettamente fratelli, dalla tacita eloquenza d’una natura che si stende, privilegiata oltre ogni altra, intorno a noi, quasi mormorandoci: Siate grandi quant’io son bella. -Giuseppe Mazzini-
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ALL’ITALIA NEL 1796
Io vidi il fuoco fra la crebra e nera
Nube che vela le tue balze alpine,
O delle antiche età reina altera,
Seduta or mesta sulle tue rovine.
Sei tu quella sì vaga, ed ahi! Sì fiera,
Invidia un dì dell’emole reine?
Ohimé! Ricopre tua beltà primiera
Un manto bruno, un lacerato crine.
Ma come, oh! Come, fra i tremendi orrori,
Sacrati, o madre d’infelici e mia,
Ardirò il serto degli Aonii fiori?
I’ t’offro i carmi alla stagion del pianto;
Ma canta il cigno allor che muor, né fia
Chi vieti al cigno moribondo il canto.
-Diodata Saluzzo-