Bernd Lucke, professore di macroeconomia e leader di Alternativa per la Germania
Una decina di giorni fa è rimbalzata la notizia (data con molta calma e gesso dai media mainstream) che in Germania era stato fondato un partito anti euro, Alternative für Deutschland, (qui) formata da economisti, accademici, ricercatori, giornalisti, insomma da una parte non marginale dell’intelligentia tedesca. Dunque niente populismo o demagogia da agitare contro questo nuovo soggetto politico, ma – a quanto pare -. nemmeno l’accusa di rappresentare una posizione elitaria e isolata: infatti secondo un sondaggio condotto da TNS-Emnid per Focus, il magazine noto da noi per certi “errori di traduzione” in cui sono incorsi alcuni nostri giornali, il 25% dei tedeschi sarebbe disposto a votare un partito anti euro alle prossime elezioni.
I tempi per una nuova formazione politica erano evidentemente maturi e questo naturalmente pone un bel problema alla Merkel, condizionandone le prossime mosse europee, tanto più che la fascia di età dove si sta coagulando questa avversione nei confronti della moneta unica, è quella tra i 40 e i 49 anni, la più produttiva e al tempo stesso anche quella di maggior penetrazione elettorale della Cdu, il partito della cancelliera. La preoccupazione da cui è nata Alternativa e che trova riscontro nell’opinione pubblica è di due tipi: una economico – monetaria e l’altra politica che sono, al contrario che in Italia, ampiamente dibattute. La prima è ovvia: la cosiddetta austerità nella periferia del continente si è rivelata un disastroso fallimento e le manifestazioni nella penisola iberica, così come le elezioni in Italia la rendono sempre più ardua da imporre. Così – rimanendo l’euro – prima o poi toccherà alla Germania e ai paesi ricchi riequilibrare la situazione con gigantesche “trasfusioni” di risorse. D’altro canto la natura stessa della moneta unica rende molto dubbio che la Bce, con i suoi limiti strutturali, possa davvero evitare questo esito. E lo dimostra il fatto che le differenze di accesso al credito, dopo alcuni mesi di remissione, stanno di nuovo separando le due Europe, quella ricca con credito facile e quella in crisi con credito difficile e con interessi alti. Un meccanismo perverso che aumenta le differenze e che è destinato a far saltare il banco.
L’altra preoccupazione è invece politica: gli strumenti messi in piedi per tentare di risolvere il problema del debito attraverso l’austerità comportano una cessione di sovranità verso organismi non elettivi e non rappresentativi che lascia i cittadini in balia di forze e di scelte che operano sopra la loro testa. Così una unione nata nelle intenzioni per essere un motore democratico, rischia di diventare una sorta di dittatura dei centri finanziari.
Tutte considerazioni che ci riguardano e ci investono da vicino, ma la cui discussione è stata di fatto “proibita” come fosse una bestemmia, mentre dovrebbe essere all’ordine del giorno ovunque, compresa in quella Europa burocratica e funzionale che non ha alcuna speranza di arrivare a un unione politica nel giro di pochi anni, ma che si limita a cercare di eliminare le enormi differenze del continente con strumenti che invece l’aumentano. Inutile dire che ci vorrebbe un’ Alternativa per l’Italia che sappia superare anche in campo economico le cautele accademiche, le banalità trentennali, il feticismo delle scelte, le illusioni – collusioni di scuola, oltre che, ovviamente la palude politica e le ostinazioni della classe dirigente che spera di tenersi l’euro fino a che la sua funzione politica nel ridurre la democrazia e i diritti (funzione apertamente riconosciuta da alcuni economisti, tra cui il premio nobel Robert Mundell) non sarà arrivata sino in fondo. .