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Sotto il segno del Leone

Creato il 05 maggio 2015 da Patuasia

Di Roberto Mancini.

Per anni mi sono arrovellato: perché la Sinistra non capiva che la difesa del francese era una sofisticata strategia politica? Un geniale strumento non per includere i cittadini, ma per escluderli?
Un marchio identitario, per creare divisione? Un muro di Carema, mascherato da “carrefour”?
Il recente libro dello storico Andrea Désandré. “Sotto il segno del Leone”, genesi dell’autonomia valdostana 1945-1949”, ricostruisce con minuzia le ragioni politiche, le tappe e gli strumenti della costruzione di un “movimento indigenista”, inteso a creare un “piccolo mondo antico basato sul culto degli antenati, l’incanto paesaggistico e la mistica agro-pastorale” (cit).

Pagine memorabili.


“Elogiare, in francese, l’uomo della terra e il paesaggio che lo circonda, quasi vi fosse un stretta correlazione fra l’incanto estetico della natura e la moralità di chi in essa e di essa vive, è il modo più efficace per parlare, senza parlarne, del loro contrario, ossia del proletariato industriale, l’italofono perturbatore della società tradizionale, e della grigia fabbrica o dell’oscura miniera in cui questi consuma la propria quotidianità, antitesi perfetta del salubre lavoro all’aria aperta a cui corrisponde un’ analoga salute morale.
Le impareggiabili virtù contadine in filigrana condannano i pretesi vizi operai, il sano e robusto “agricoltore di stampo antico”, modello insuperabile di sobrietà, operosità, responsabilità, moderazione, devozione e deferenza, allude costantemente al contromodello operaio che incarna l’universo di tali qualità:
persino la celebrata povertà agreste mira a stigmatizzare il corrispettivo urbano: la miseria contadina, poetica, isolata ed inoffensiva, è una benedizione divina, generatrice di rassegnazione, umiltà, modestia, semplicità ecc…quella proletaria, collettiva ed organizzata, è invece un piaga sociale temibilissima……
Sempre, nei conflitti linguistici, la posta in gioco è il rovesciamento “des rapports de domination symboliques et de la hiérarchie des valeurs attachés aux langues concurrentes”, qui l’italiano ed il francese.
Il primo è in Valle la voce dell’aborrita modernità, la lingua dell’industria, dell’immigrazione, degli scioperi, dell’insubordinazione sociale, delle ideologie livellatrici, della supponenza burocratica, dei funzionari “colonizzatori”, della radio, del cinema, della bestemmie;
il secondo è l’eco di un mitizzato mondo di ieri minacciato dall’oggi, la lingua della terra, del villaggio, del campanile, della scuola rurale, dei canti popolari, dei vecchi giornali, delle preghiere, del curato di campagna e del notabile di città.
Da qui l’esigenza di veicolare i rudimenti linguistici attraverso contenuti ed immagini strettamente correlati alla lingua di padri, appunto il contado e il contadino ideali”.


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