Chi mai avrebbe detto che sarebbe stato proprio l’Istat a far iniziare in maniera positiva il 2016 italiano? Ed invece, è proprio il nostro Istituto di statistica a far tirare un sospiro di sollievo al Governo, mettendo in luce il segno + registrato dal mercato del lavoro. Secondo le rilevazioni relative al mese di novembre 2015, possiamo infatti contare + 36.000 nuovi occupati, tra i quali uno +0,3% di assunti a tempo indeterminato ed un -1,3% di lavoratori a termine, oltre ad un aumento dello 0,5% dei lavoratori autonomi. Non solo: scende la disoccupazione generale, passando dall’11,5% all’11,3%, ma anche quella giovanile, che tocca il 38,1%.
Grandi festeggiamenti dunque tra Palazzo Chigi e via Vittorio Veneto, dove il plauso di questo piccolo miracolo all’italiana va al Premier Renzi e al Ministro Poletti per le recenti riforme del mercato del lavoro, nonché per i bonus contributivi e normativi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.
Presto detto, che già si affacciano all’orizzonte le prime critiche. In tanti, dal sindacato all’opposizione di Governo, vedono in questa ripresa solamente un effetto della decontribuzione sui nuovi contratti a tempo indeterminato e delle novità introdotte dal D. Lgs. 23/2015. Ma nessun cambiamento strutturale del mercato del lavoro. Cosa succederà quando i bonus contributivi cesseranno? Le prime considerazioni parlano di effetti disastrosi, in particolar modo sulla occupazione giovanile, anche in virtù del reinvio del pensionamento di molti over 50 causato dalla “Riforma Fornero”.
In sostanza dunque, il segno positivo conquistato dal mercato del lavoro italiano sarebbe per alcuni solo una meteora. Da una parte non è stata messa a punto quella rivoluzione copernicana tale da generare un cambiamento strutturale del mercato del lavoro, dall’altra per le imprese non sembra essere ancora arrivato un momento di ripresa economica così netta. Lo stesso ex Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha difatti previsto un 2016 in salita per l’economia del Bel Paese a causa della sempre maggiore tecnologia produttiva e della diminuzione dei volumi nel commercio globale.
È indubbio che i cambiamenti strutturali non avvengano dall’oggi al domani, nè che la cultura di un’occupazione stabile e di qualità debba ancora ricostituirsi nel nostro Paese. Così come la concezione di un orientamento al lavoro serio e strutturato, che possa prevenire un precoce abbandono scolastico e ridurre il crescente divario tra scuola ed imprese.
Per ora possiamo sperare che le prossime mosse del governo in tema di mercato del lavoro siano coerenti con quanto fatto finora, in particolar modo con la costituzione di una rete di politiche attive concrete e determinanti, in sintonia con quanto delineato anche da Bruxelles sulle misure per il contrasto alla disoccupazione di lunga durata.
Carlotta Piovesan