Il suono del pianoforte di Luis Bacalov è rotondo e carezzevole allo stesso tempo. Echeggiando dolcemente, corre e riempie l’aria della grande aula vetrata – il vecchio giardino dei Conservatori – che ospita i reperti più preziosi dei Musei Capitolini al Campidoglio. Quel suono coglie di ogni frase l’essenza pura, ne declina le sfumature con raffinato e sapiente equilibrio, senza nulla trascurare ma anche senza perdersi dietro le pose ammiccanti dei tangueri. Echeggiando avvolge la statua bronzea del Marco Aurelio, le nervature possenti dell’Ercole in bronzo dorato, la mano colossale del Costantino che così disposta sembra uscire dal terreno. Poi si posa sulle mie mani intirizzite dal freddo, e all’improvviso mi assale una radiosa voglia di suonare tutti i tanghi del mondo, specialmente quelli di Bacalov e Piazzolla, ma anche di scriverne qualcuno nuovo.
…E poiché di questi tempi ho un rapporto nuovo con le percussioni, generato anche dal mia pratica quotidiana di esecutore per la danza, quella sera mi ha subito colto anche un gran desiderio di disporre di un set come quello di Daniel Bacalov per quell’occasione: un insieme di strumenti per ottenere suoni morbidi e curvi, corredato di qualche ospite dal timbro speciale, come le campanine tubolari dalla tessitura acutissima, che coloravano di tanto in tanto alcune cadenze con un tintinnio di suonini commoventi e leggiadri. Ecco, non posso dimenticare che quando il pianoforte non era solo, era accompagnato anche dal contrabbasso di Giovanni Tommaso: con un apporto anche qui interessante, che sondava le possibilità timbriche dello strumento al confine tra il jazz e i linguaggi contemporanei colti.
Il programma, come accennato, disegnava un percorso nella storia del tango, a partire dalle rivisitazioni sperimentali dello stesso Bacalov, fino ai classici e a Piazzolla.
Sopra tutto, la mente e il carisma di un musicista invidiabile per fecondità, freschezza del linguaggio e lucidità interpretativa, appunto quella di Luis Bacalov.
Ancor più sopra lo sguardo troppo fiero – per i tempi nostri, s’intende – del Marco Aurelio sul suo nobil destriero.