Sotto questo sole

Da Antonio

Qualche anno fa….vabbè, d’accordo, più di qualche anno fa (del resto parliamo del 1990!), spopolava per le radio una hit estiva che il tempo ha reso famosissima. Francesco Baccini e Paolo Belli con i suoi Ladri di biciclette cantavano “Sotto questo sole”, motivetto divertente il cui ritornello fà:

“sotto questo sole è bello pedalare sì
ma c’è da sudare
sotto questo sole rossi col fiatone e
neanche da bere”

Come mi è saltato in mente di ripescare dal passato questo intramontabile tormentone? Semplice, da questa estate ho ricominciato a pedalare. Quanti bei ricordi la mia sgangherata Esperia (a proposito, chissà che fine ha fatto, giuro di non saperlo), da ragazzino per diversi anni la bici è stata la mia fedele compagna di tutto. Mentre gli altri sfrecciavano con i motorini, io pedalavo e sudavo, ma l’iniziale vittimismo presto ha lasciato il posto ad un orgoglioso “life style”. Vicissitudine varie, poi, non mi hanno permesso di continuare con le due ruote, facendomi dimenticare le sensazioni provate assaporando i disagi d’uno scomodo sellino.

Da qualche tempo a questa parte, invece, ho rispolverato (a dirla tutta non l’ho ancora materialmente fatto…) la mia nuova bicicletta, una fiammante mountain bike che avevo accantonato da quanto? Mmm…credo almeno da 3/4 anni. E così munito della sola forza di volontà mi sono riscoperto ciclista della domenica. All’inizio è stata dura, poi però ci ho preso gusto rituffandomi in ricordi che non credevo più di avere. Quando si pedala per diverse ore si ha modo di pensare a tante, tantissime cose. Al passato e al presente, a quando da ragazzini sfidavamo le discese più ripide pur di arrivare prima di tutti, perfino alle cadute che hanno segnato le nostre ginocchia. Salita dopo salita, però, ti confronti anche con i demoni della tua quotidianità, quelli ai quali che tu stesso hai dato la vita, alimentandone poco alla volta l’esistenza. Senza volermi nient’affatto misurare al grandissimo Giacomino, le sensazioni che a suon di pedalate hanno pervaso in questi giorni la mia anima potrebbero essere paragonate a quanto scrive nell’Infinito (la cui malinconia, detto per inciso, sento più che mai appartenermi in questo periodo)

“…e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei”.

La quiete delle stradine di montagna evidentemente favorisce una sommaria analisi introspettiva, del resto l’andatura a dir poco compassata che posso permettermi, non stimola affatto un particolare stato d’attenzione, tanto più che la maggior parte del tempo la trascorro in un mondo tutto mio, che prende forma grazie alle note del mio
i-pod. E così la strada diventa un continuo susseguirsi di “curve nella memoria”, affrontate una dopo l’altra in un turbinio di sentimenti, la maggior parte dei quali, però a senso unico: malinconia, tristezza, rimpianto, dolore.

Di tanto in tanto ecco che dietro un tornante sbuca un’altra anima in pena che come me soffre sui pedali. Quegli incontri pur destandomi dal mio ipnotico torpore, diventano motivo ulteriore di domanda su quanto la fatica delle salite altrui sia o meno paragonabile con la mia. Le automobili sfrecciano al mio fianco, il solito maleducato ti strombazza col clacson senza motivo, certo, però, pure io a centro strada senza tenere la mani sul manubrio me li chiamo gli improperi! Ma avete mai provato ad affrontare una leggera discesa tenendo chiusi gli occhi e spalancate le braccia? No? Beh, dovete farlo, vi sembrerà di volare! Sono solo pochi istanti, ma ne varrà davvero la pena. Sarete finalmente liberi e felici, sgravati dal quotidiano fardello di colpe che ci trasciniamo nell’anima. Occhio, però, è solo un attimo, poi c’è l’ennesima curva dietro la quale ci aspetta la nostra vita e si deve riprendere a pedalare, a sudare e a soffrire.



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