Sale su un vagone del trenino verde che parte da Flaminio e arriva a Montebello. In contraddizione con tutto ciò che lo circonda, lui mantiene da subito una compostezza e una classe invidiabili. Solo una piega che spunta di tanto in tanto all’angolo della bocca tradisce l’evidente disagio scaturito dai quaranta gradi centigradi che hanno trasformato il mezzo pubblico in un’affollata sauna su rotaie.
Tutto in lui è in perfetto equilibrio: la camicia blu a pois bianchi fa pendant con la montatura bicolore degli occhiali; le scarpe scamosciate, indossate rigorosamente senza calzini, concordano cromaticamente con il bianco candido della cravatta, leggermente allentata a simulare una (ormai lo sappiamo) falsa sciatteria. Gambe accavallate, evidente abbronzatura che tradisce più di qualche aiuto artificiale venutogli in soccorso nei bui mesi invernali, orologio e braccialetto di pelle, anch’esso in tono con la borsa marrone poggiata ai suoi piedi.
Lo apre poco dopo la partenza e vi si immerge, fino all’arrivo, con ovvia discrezione: è Sotto un cielo indifferente di Vasken Berberian.
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