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“Sottomissione”: la cura alla libertà di Leonardo Renzi

Creato il 29 aprile 2015 da Wsf

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Partiamo con il definire quel che l’ultima fatica di Houellebecq non è: non è un romanzo sull’Islam, né sulla fede, né un saggio su Huysmans, né sul decadentismo. Ciò di cui siamo sicuri invece, è che si tratti di un romanzo necessario se si considera la vicenda intellettuale dell’autore francese: iniziata nel 1994 con“L’estensione del dominio della lotta”, H. ci ha condotto in un lungo viaggio attraverso il malessere occidentale, nell’alienazione ormai penetrata in ogni piega del pubblico e del privato, nell’impossibilità del singolo di trovare una risposta a questa crisi tanto personale quanto collettiva. Il viaggio si conclude con “La carta e il territorio”, in cui H dichiara finita l’epoca moderna, con la sua fede nell’individuo, nella felicità, nel progresso e nell’emancipazione dai valori tradizionali; verso la conclusione del suddetto romanzo, l’autore francese inserisce come possibilità individuale quello che diverrà poi il centro di “Sottomissione”: la conversione religiosa, l’ultima opzione possibile per ritrovare un equilibrio (un ordine) che dia ancora un senso alla sofferenza, e nel contempo faccia da contrappeso all’autodistruttività di una libertà in balia di se stessa.

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L’ultima fatica di H. tenta quindi di dare una risposta collettiva al dilemma delineato nel romanzo precedente, e lo fa scegliendo come padre nobile Joris Karl Huysmans, punta di diamante del decadentismo ottocentesco, che trovò nella conversione al cattolicesimo la sua via di fuga dall’autodistruzione. Il protagonista di “Sottomissione” è un fine esegeta di Huysmans ma anche, e soprattutto, il primo a non comprenderne appieno il messaggio. Notiamo subito una cosa: il libro di Huysmans a cui H. guarda più da vicino è “À rebours”, che è un non-romanzo il cui protagonista è corroso da un male oscuro (la sifilide, mai nominata nel testo, ma onnipresente), che si ritira dal mondo cercando di sfuggire al pensiero del male mortale che lo sta consumando. Come il grande decadente, anche H. ha scritto un non-romanzo sul male (mai nominato) che lo corrode e consuma tutto l’Occidente, e questo male è la libertà. Perché né “À rebours” né “Sottomissione” sono romanzi nel senso convenzionale del termine? Perchè in entrambi non c’è alcuna presa di coscienza del protagonista, in entrambi l’io si trasforma senza partecipare alla metamorfosi, seguendo l’evoluzione esterna del suo male, che lo deforma e lo riplasma come fosse un oggetto.
Nella prima parte del romanzo, tramite la descrizione di alcune esperienze salienti del protagonista François, H. fa un sunto dei mali dell’Occidente già ampiamente descritti nei precedenti romanzi: quindi troviamo le sue deludenti esperienze amorose, la sua poco eccitante vita sessuale (che si rianima un minimo solo col sesso mercenario), l’assenza della famiglia, l’incomunicabilità, l’alienazione di un lavoro privilegiato economicamente ma vuoto di senso, il marciume morale dei colleghi. Questa parte è oggettivamente debole, ciò che la rende interessante è il suo preparare l’entrata, con rapide ed enigmatiche apparizioni, delle due categorie che non accettano lo stato di decadenza generalizzato, e si tengono in disparte in attesa di scontrarsi alle elezioni presidenziali: gli identitari e gli islamici.

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Gli identitari sono quella galassia riconducibile all’elettorato del Front National, e sono per loro natura frantumati in decine di correnti (neopagani, tradizionalisti cattolici, nazionalisti atei, ecc) ciò che li accomuna è l’idea di fermare la decadenza attraverso un ordine autoritario, che si sganci dall’Europa e abbia così mano libera nello sradicare l’immigrazione musulmana. Il fronte islamico invece è compatto, ha emarginato i fondamentalisti e i terroristi, si è radicato nel territorio tramite le opere di carità, ed è guidato da un leader carismatico con una visione di ampio respiro internazionale, essendo un fautore del progetto Eurabia. Qui emerge il punto forte del romanzo, che rende infondate le critiche di islamofobia e di xenofobia rifilate a H.: l’Islam presentato in “Sottomissione” è una religione moderata, che trova le sue radici storiche nell’umanesimo del Califfato, e il suo equivalente occidentale nella Chiesa cattolica del ‘700, in cui il culto è un cemento comunitario, formale, che non richiede l’adesione intima, lasciando l’individuo comportarsi come meglio crede nel privato. E’ un sistema politico che poggia su valori trascendenti, capace di regolare la vita collettiva senza intromettersi eccessivamente in quella privata, dando all’individuo nel contempo la sicurezza di un ordine e di un senso, e la possibilità di costruirsi il suo spazio inviolabile nel quale pensare e godere come meglio gli aggrada. In poche parole è un Islam fortemente appetibile, che richiede la rinuncia alla libertà di espressione, al libertinismo, all’individualismo assoluto e in cambio garantisce sicurezza e solidarietà.
La seconda parte del romanzo, che comincia con la vittoria dell’alleanza fronte islamico-sinistra socialista-UMP sul Front National, invece è molto più densa: il beniamino Huysmans, tanto amato dal protagonista, viene affiancato da René Guénon e Friedrich Nietzsche, guide spirituali del rettore universitario Rediger, ex identitario da lungo tempo convertito all’Islam, che con il suo charme traghetterà François (e con lui la gran parte dei suoi colleghi, fra cui molti identitari) verso la nuova religione. E’ interessante osservare come gli argomenti fondamentali di Rediger tocchino solo di sfuggita la fede, e poggino su tutt’altro fulcro: l’ordine e la potenza, come antidoti alla libertà e all’infelicità. Per Rediger l’unica possibilità di sfuggire alla decadenza occidentale è riallacciarsi alla Tradizione, a qualunque tradizione, purchè dimostri la forza di risplasmare una società morente, di darle un ordine e un obbiettivo che ne esibisca la rinnovata volontà di espansione, poco importa se i valori capaci di compiere il miracolo non abbiano alcun fondamento oggettivo. Nel rettore lo scetticismo razionalista, il nichilismo metafisico e l’amore per il glorioso passato nazionale convivono fianco a fianco, fusi nella medesima volontà di potenza di matrice nietzschiana.
François ne viene irresistibilmente attratto anche se, da studioso di Huysmans, sembra intuire che potrebbe esserci un’altra via: una conversione personale, una sottomissione volontaria alla Grazia divina, che rimodellerebbe l’intera esistenza dandole un senso autentico, come accadde per l’illustre romanziere, e non una mera adesione formale ad un culto comunitario; ma questo barlume di consapevolezza si spegne immediatamente nell’incredulità: François dopo aver interrogato l’opera di Huysmans alla ricerca del perché profondo della sua scelta, conclude che il romanziere si convertì per noia e per amore della quiete, nessun Dio lo toccò né ci fu mai autentica fede in lui.
Il finale del romanzo è emblematico: la resa del protagonista procede di pari passo con quella del corpo accademico e sociale, sedotti dalla rapidità del nuovo presidente Mohammed Ben Abbes di riordinare la vita collettiva, garantendo la fine della violenza politica, un nuovo statuto familiare (la poligamia), la solidarietà comunitaria per sopperire alla riduzione del welfare state e alla relativa disoccupazione endemica. Ed è proprio la poligamia il simbolo più pregnante di questa rapida discesa nel regno della sottomissione dell’Occidente: togliendo all’individuo la scelta del proprio partner, depersonalizzando i rapporti affettivi, viene eliminato il rischio della responsabilità e quindi del fallimento: la poligamia assicura all’uomo stabilità e potere nell’ambito privato, e alla donna la certezza di una vita comoda, senza competizione, lasciando che siano la casa, la seduzione del marito e la cura dei figli il suo ambito di dominio e di senso.
Tirando le somme, alla fine del romanzo cosa rimane? La descrizione impietosa dell’Occidente malato, che ha perso ogni fiducia in se stesso e nelle risorse della propria civiltà, disposto a sottomettersi ad un Islam moderato non per convinzione, ma solo per trovare un ordine, un barlume di senso che gli permetta di sopravvivere… In “Sottomissione” la malattia della libertà trova la sua cura, anche se la domanda di fondo, posta in maniera implicita più volte nel testo, rimane senza risposta: questa tempestiva guarigione non è peggiore della malattia stessa?

di Leonardo Renzi


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