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Sottrazioni

Creato il 28 dicembre 2011 da Violentafiducia0

“… e poi finisce che non apri più,

non chiudi più,

e poi finisce che tu

stai lì, fermo, alla porta, e poi finisce.”

Gabriele FrascaLime

*

Mio nonno ha dimenticato le sottrazioni col prestito. Secondo lui l’anno in cui viviamo meno l’anno in cui è nata mia nonna farebbe mille-cento-ottantotto. Mio nonno dice che sì, è strano che mia nonna abbia mille-cento-ottantotto anni, ma la sottrazione è giusta.

Mio nonno era maestro.

Il giorno in cui mio nonno è andato in pensione io indossavo una gonna blu, me lo ricordo benisimo. C’era il sole, c’erano tante maestre e pochi bambini. E una bambina (di cui ricordo benissimo il nome) mi ha raccontato la barzelletta del fantasma formaggino, che non faceva ridere per niente anche se ho riso lo stesso perché mi sembrava gentile.

Mio nonno, se gli chiedo cosa ricorda del giorno in cui è andato in pensione, mi dice: «Mi ricordo che tu c’eri, abbiamo fatto la cerimonia e poi siamo andati a mangiare».

Mio nonno ricorda benissimo il freddo tagliente che faceva a Monopoli il giorno in cui è sceso dal treno, quarant’anni fa. Ricorda la neve e la conversazione avuta col cameriere nel ristorante in cui si era fermato a pranzare. E il suo padrone di casa, che ha sentito tutti gli anni a Natale per gli auguri finché non è morto, il caro signor Michele. Ricorda il giorno in cui è stato abilitato e la voce di suo padre orgogliosa e stanca che in dialetto gli dice e chi me lo doveva dire… un figlio maestro. Ricorda il giorno in cui sono nata e il momento in cui ha imboccato sua madre per l’ultima volta.

Ma le sottrazioni col prestito, quelle proprio non le ricorda. Allora gliele spiego io, che me le ricordo. Ho dimenticato tante cose in questi ultimi anni, in questi ultimi mesi, ma le sottrazioni col prestito me le ricordo.

Ho dimenticato come ci si protegge e ho dimenticato perché. E mettere in fila le abitudini del risveglio − i denti, la faccia, i capelli − l’ho dimenticato per dimenticarne la fatica. Ma mi ricordo che l’uno si fa prestare una decina dall’altro uno e diventa undici. Undici meno tre fa otto.

E non parliamo dei desideri. Desiderare richiede un’energia che non s’è mai vista al mondo. E le notti insonni passate a consumare le lenzuola col dito, senza mai aprire un libro. Ho dimenticato il piacere di leggere e il significato delle parole. Dovevo cercare tutto sul vocabolario perché non ero sicura di cosa fossero davvero una bicicletta, una radura o un’astronave. E dovevo controllare che gli accenti delle parole fossero tutti nel verso giusto e che fosse giusto ogni trattino di ogni dialogo e ogni nome di ogni personaggio. Le parole si accumulavano, ma smettevano di significare. E il dolore dei personaggi non era mai il mio, perché il mio l’avevo dimenticato. Ho dimenticato quanto sia difficile restare, e quanto sia difficile tornare se te ne sei andato fuggendo. L’uno ha prestato la sua decina ed è rimasto zero. Lo zero chiede una decina all’altro zero, e diventa dieci. Dieci meno tre fa sette.

Ho dimenticato come scrivere. Le mie parole le ho prese a calci finché non gli ho rotto la schiena.

Ho accumulato impegni, nell’illusione di moltiplicare i sensi. Sono rimasta sepolta dalle liste, dalle cose da fare, dalle ore con la coperta troppo stretta, dalle spunte, dagli evidenziatori, dalle penne rosse a tratto fine, dalle scelte degli altri, che sembravano più ragionevoli delle mie. Ho scavato il corpo a cucchiaiate per privarlo di tutti i bisogni. Volevo dirmi più leggera, mi sono privata di tutto. Lo zero è rimasto nove. Nove meno nove fa zero. Zero, corpo cavo.

Adesso devo procedere per sottrazione. Ho pensato che ce l’avrei fatta, che sarei riuscita a fare tutto, le mie spalle forti sarebbero diventate indistruttibili e avrei sorriso di più perché avrei avuto più cose per cui sorridere. Me l’avevano detto: Complimenti per la resistenza, avrei ceduto per molto meno. Ma resistere non vuol dire non cedere. Vuol dire cedere dopo. Resta il due, che ha prestato le decine agli zeri che non avevano niente, ed è rimasto uno. Perché nelle sottrazioni col prestito funziona così: dai agli altri quello che agli altri manca, finché non ti fai più piccolo e finalmente crolli.

Quindi uno, meno uno, zero.



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