Lo SteelDay quest’anno inaugura il 27 giugno la stagione concertistica per il genere Metal nel migliore dei modi portando in Sardegna i Soulfly e gli svedesi Pain Of Salvation, due gruppi con una lunga carriera alle spalle che hanno raggiunto un posto importante nel panorama internazionale del metal odierno.
Il palco dell’Arena Grandi Eventi a Cagliari è il ring ideale per questo genere di eventi. Sono preceduti da tre formazioni sarde scelte per far parte del cartellone, attive da diverso tempo e con esperienze concertistiche che hanno varcato i confini nazionali.
I Lightless Moor sono i primi a salire sul palco, la voce suadente della cantante Ilaria Falchi risalta nel tappetto sonoro a tinte gotiche proposto dai cagliaritani che presentano l’album “Crying My Grief to a Feeble Dawn – The Poem”, debutto discografico dello scorso anno. Dopo di loro salgono sul palco i Terroway, formazione dedita a un sound più aggressivo e articolato, la band proveniente da San Gavino regala una buona prova presentando i brani dell’ultimo album “Blackwaters”, uscito nella seconda parte del 2013, registrato a Cagliari al Corpse Factory Studio e mixato e masterizzato in Danimarca al JBO Sound Studio.
A completare la buona rappresentanza delle formazioni isolane si presentano gli Arhythmia che dimostrano sin da subito di avere le capacità per confrontarsi con altre realtà internazionali. Gli algheresi sfoggiano un sound compatto e potente con ritmiche sincopate d’influenza alternative metal e interessanti aperture melodiche.
Il loro ultimo lavoro è l’E.P. “Time No Coming Back”, dopo due album che hanno ricevuto buoni responsi di pubblico e critica negli ambienti underground permettendo al gruppo di suonare di supporto ad importanti nomi come Sepultura, Hatebreed e Biohazard.
L’evento entra nel vivo quando i Pain Of Salvation imbracciano gli strumenti (smarriti insieme ai bagagli alcune ore prima all’aeroporto di Roma a quanto pare) per dare una svolta diversa alla serata.
L’ottima tecnica dei musicisti del gruppo capitanato da Daniel Gildenlöw riesce a dare gran risalto alla performance, nonostante un soundcheck eseguito in fretta e senza ausilio di vari effetti hanno dimostrato di essere dei professionisti seri; verrebbe da pensare che questo sia uno dei tanti motivi che hanno garantito una rapida ascesa degli svedesi negli ambienti progressive, tanto da vederli al seguito di mostri sacri del genere in vari tour in giro per il globo.
Salta all’occhio (e soprattutto all’orecchio) la precisione ed il tocco solido di Lèo Margarit, il batterista di nazionalità francese entrato nei POS nel 2008 al posto del defezionario Johan Langell. La band svedese propone una scaletta in cui compaiono brani estratti dai diversi album pubblicati, spaziando dal progressive metal degli esordi alle sonorita’ più dirette che traggono influenze dal blues e dallo stoner senza dimenticare un certo hard rock dal sapore seventies.
La scelta cade inevitabilmente su canzoni della prima parte della carriera del gruppo, quella che li ha resi noti agli estimatori delle sonorità prog come !(forword) e Used, l’oscura Diffidentia (Breaching the Core); l’andamento funkeggiante con i continui cambi di tempo di People Passing By e la stupenda ballata Ashes si alternano alle più dirette e recenti Linoleum e Condiotened concludendo con la lunga ed articolata Falling/The Perfect Element, tratta dall’album omonimo.
Dispiace di questi tempi assistere a situazioni di poco senso civico tra i presenti del pubblico, che non apprezzando la proposta del gruppo debbano esternare in maniera poco rispettosa intolleranza con urla e fischi da beceri ultras da stadio infastidendo chi magari si è fatto tanti chilometri per poter assistere al concerto, poiché la proposta non rientra nei propri gusti; in queste situazioni si dovrebbero trovare punti di contatto tra appassionati oppure se non vi è interesse alcuno spostarsi di qualche decina di metri nella zona dei chioschi per passare il tempo in altra maniera.
L’importanza di questo concerto ha un valore storico, soprattutto per chi è cresciuto ascoltando le sonorità dei Sepultura, il primo gruppo in cui militò Max Cavalera ha avuto grande importanza su scala globale per quanto riguarda l’evoluzione della musica pesante. Dopo un ottimo passato su coordinate thrash/death, Il gruppo raggiunse il picco creativo per gli stilemi del genere con quella pietra miliare chiamata “Arise”(1991). Da quel momento in poi la band si spinse su altri lidi compositivi che li resero un punto di riferimento per tantissimi gruppi negli anni a venire influenzandone lo stile.
L’ambizione, il coraggio e la creatività portarono il gruppo a introdurre sonorità noise, sviluppare elementi tribali, accenni alternative e tanto groove di marcata influenza hardcore a dare un impronta ben definita al sound che diventò una loro caratteristica peculiare. Ci sono due album fondamentali e d’avanguardia come “Chaos A.D. “(1993) e “Roots” (1996) a testimoniarne l’evoluzione, che ai tempi misero d’accordo tutti tra pubblico e critica, decretando notorietà e meritata fama al gruppo brasiliano. Con la fuoriuscita del cantante/chitarrista per dissidi interni al gruppo si arriverà alla conclusione di un rapporto durato quasi l’incalzare di tre lustri.
I Soulfly partendo da quei canoni stilistici ci consegnano un sound che ripercorre i fasti del passato guardando al presente e confermando la voglia del leader di collaborare con altri artisti e fare sperimentazioni etnico-tribali in alcune composizioni con l’ausilio di strumenti tradizionali.
I brani proposti stasera ripercorrono tutta la carriera delle due band più importanti in cui Max Cavalera ha militato (ha fatto pure parte del progetto industrial metal Nailbomb, suona insieme al fratello Igor nei Cavalera Conspiracy ed ha recentemente preso parte all’album di debutto nel supergruppo Killed By Killed)
Blood, Fire, Blood, Hate è il brano preposto come intro col compito di aprire la serata, un coro unanime si alza tra i presenti sotto il palco che attendono ansiosamente l’ingresso sul palco dei quattro musicisti; entrati in scena accompagnati da un boato collettivo che sembra essere il miglior benvenuto per accoglierli. La calorosa accoglienza è prontamente ricompensata con l’esecuzione del riff che introduce Refuse/Resist, brano di apertura di “Chaos A.D.” dei Sepultura, un must del metal in generale. Non si ha il tempo di riprendere fiato che la band sommerge i presenti con Bloodshead e Cannibal Holocaust, estratte dall’ultima fatica in studio intitolata “Savages”.
Le successive Prophecy, Back To The Primitive, Downstroy e Seek ‘N’ Strike sono delle mazzate in faccia che non danno il tempo di reagire. Fire, Bring It e Defeat You sono il primo gruppo dei medley proposti durante l’arco del concerto con l’intenzione di ripercorrere esaustivamente la propria carriera discografica; un assaggio di tutte le fasi attraversate dalla band dalla fine degli anni novanta a oggi che hanno visto la pubblicazione di ben nove album.
Il cantante chitarrista dimostra di essere un esperto imbonitore di piazza e trattiene il pubblico anche con frasi in italiano invitando tutti a saltare a ritmo durante le canzoni, una situazione che non attenderà ad avverarsi nell’immediato. Il resto del gruppo è ben coeso e rodato, soprattutto impressiona l’abilità tecnica di Marc Rizzo nel macinare riff e assoli in maniera disinvolta ed energica, abituato in veste solista a spaziare tra diversi generi che affondano radici nel jazz e flamenco oltre al rock/metal.
Il chitarrista è ben coadiuvato da Tony Campos, ex bassista degli Static-X e dal giovane batterista Zyon Cavalera, figlio di Max, l’ultimo arrivato nel gruppo in ordine di tempo che dimostra di aver imparato bene la lezione dello zio Igor (ex batterista dei Sepultura).
C’è il tempo necessario per fare un bel tuffo nel passato e riportare a galla il periodo d’oro dei Sepultura del periodo “Arise” con l’omonima canzone e Dead Embryonic Cells a fare da ottima rappresentanza; si continua dando il giusto tributo al masterpiece “Roots” con la pogatissima Roots Bloody Roots e la rocciosa Attitude per la felicità di tutti i presenti intervallate dalla presenza di No Hope=No Fear, altro devastante brano estratto dal primo disco dei Soulfly.
La parte conclusiva della serata spetta a un altro medley, due delle canzoni più rappresentative sempre presenti in scaletta, Eye for An Eye e Jumpdafuckup fanno saltare tutti quanti sino al riff finale di The Trooper , omaggio agli Iron Maiden che vede uscire di scena il gigante brasiliano applaudito a gran voce da tutti.
Una nota dolente della serata è stata la poca affluenza di estimatori del genere, nonostante l’impegno da parte della VoxDay e l’allettante proposta, che lamentano costantemente la mancanza di questo tipo di festival da parte degli organizzatori locali ma poi all’atto pratico di dover spostarsi da casa si preferisce cliccare il play su Youtube e guardarsi i concerti seduti davanti allo schermo del computer.
Wake Up!
Written and photos by Emiliano Cocco