A causa della “linea editoriale” (che ficata poter usare l’espressione linea editoriale per un blog!) intrapresa in questo 2011, è da un po’ che non scrivo un post d’attualità. Ho saltato a piè pari il rubygate, e non mi dispiace affatto; tenendo in panchina la penna (quanto è fuorimoda la metafora della penna nell’era digitale?) ho la possibilità di godermi la partita giocata dagli altri, siano essi i diretti interessati, opinionisti di professione o per passione (come alcuni tenaci lettori di questo blog, a loro volta autori di blog che seguo tenacemente). Però un pensiero mi preme esprimerlo. Molti sodali del re nudo dai glutei ipotonici, nonché le stesse protagoniste del grottesco girotondo, rispondono con sdegno qualora venga usata la parola “prostituta”, indossando con vanità, invece, il più chic “escort”. Se è pacifica per tutti la necessità di una rivoluzione culturale rispetto al ruolo della donna, io rispondo con una massima di una grande donna, Rosa Luxemburg: chiamare le cose col loro nome è un atto rivoluzionario. Prostituta è colei che si prostituisce, ovvero che commercia prestazioni sessuali (da il Sabatini Coletti). Andare con uomini facoltosi, selezionare la clientela, sfoggiare abiti eleganti e bon ton non esime una escort dall’accezione di prostituzione. Questa è la fredda logica, l’umana realtà impone filtri empatici e convenzioni per non ferire la sensibilità altrui, e sotto questo punto di vista trovo giusto separare i due termini: se fossi una donna costretta a prostituirsi per necessità mi farebbe incazzare non poco essere paragonata a una escort! Per questo propongo di sostituire le tipiche espressioni denigratorie della prostituzione (puttana, mignotta, troia e via dicendo), insopportabilmente generiche, che impattano anche le vittime dello sfruttamento o della necessità, o chi si prostituisce liberamente ma senza immorali classismi, col più preciso e istituzionale escort. Porca di quella escort! Quella escort di tua sorella! Escort la miseria… insomma ci siamo capiti…
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