spartaco - prima parte

Da Foscasensi @foscasensi

Spartaco sapeva aspettare. Nei mattini di sole capitava che con Gioele sostasse per ore in una conca prativa o sui declivi della montagna. Spartaco appunto aspettava che Gioele fischiasse l'ordine di raggruppare il bestiame, di condurlo al pascolo o alla stalla. Allora correva ai fianchi del gregge e perfino sui dorsi e in silenzio o gettando una voce alle pecore faceva in fretta ciò che gli era stato chiesto. Poi trotterellava al suo posto e si accovacciava nuovamente ai piedi di Gioele.

Rientravano a buio fatto. Nella stanza in cui consumavano la cena c'era il camino sul cui fuoco cuoceva il latte dei pecorini (maturavano su letti intrecciati di rami) e un giaciglio di paglia che veniva cambiato ogni giorno. Quel giaciglio era la cuccia di Spartaco.

Dopo aver mangiato Gioele riempiva una pentola sbeccata con quel che restava sulla tavola, a volte cereali, a volte zuppa o brodo oppure ossa, e la porgeva a Spartaco. Voleva dire, ora puoi mangiare e riposarti. Spartaco masticava in silenzio e poi si coricava ai piedi di Gioele se girava il latte nel pentolone o intagliava bastoni. Quando Gioele si ritirava anche Spartaco scavava una piccola fossa nel giaciglio di fieno e si addormentava.

***

Andarono avanti molti anni. Accudivano il bestiame e la sera Gioele girava il latte sul fuoco per farne formaggio. Ma un giorno Gioele fermò lo stecco nel pentolone e si lamentò: vorrei una donna che girasse il latte e che mi desse figli affinché io un giorno possa riposarmi.

Allora Gioele raggiunse la città e si unì alla figlia di un macellaio. Bianca e rosa era la figlia e si chiamava Gisela.

Gisela imparò a girare il latte, Gioele spiegava come fare il formaggio: “Il latte in una pentola è una gora di schiuma e di grasso. È come la pecora che ha il vello ricciuto e il ventre pieno, come piena sei tu adesso che hai in ventre i miei figli per i quali lavoreremo e, un giorno, ci riposeremo. Ma se al latte aggiungi questa polvere di stomaco di agnello il latte e la polvere si riconoscono e ribollono, e nascono uova di siero e sostanza. Tu farai asciugare il siero sui letti intrecciati di rami e col pepe e le erbe maturerai la sostanza. E di sostanza e frumento ci nutriremo e staremo bene, insieme.

Così Gioele e Spartaco accudivano il bestiame. Rientravano a casa a buio fatto, Gisela girava il latte e intrecciava letti di rami. Un giorno disse a Gioele: “Il parto è vicino. Scenderai in paese e comprerai bende di lino e saponi, e recipienti per l'acqua. Li scambierai con un agnello nato da poco”. E quando Gioele ebbe sgozzato l'agnello, lavato le dita col primo sangue e se ne fu andato Gisela disse “Nessuno mi ama. Sono sola tutto il giorno a gonfiare il seme del mio uomo e girare latte e stomaci d'agnello”. E mentre parlava Gisela piangeva, e mentre Gisela piangeva Spartaco guaiva, e mentre Spartaco l'annusava Gisela si premeva la testa nera sul ventre e diceva come sono sola come sono sola e tu come sei buono quanto sei buono – e gemeva gemeva in una tempesta di vestiti e piedi nudi, tenendosi il grembo.

Partorì una femmina. La sera dopo aver mangiato Gioele riempiva una ciotola di avanzi, potevano essere rape bollite o cereali e la porgeva a Spartaco, che aspettava accovacciato fuori dalla porta. Le ossa e la carne avanzata servivano a Gisela per fare pasticci con cui ingrassava il suo latte. Al posto del giaciglio di paglia c'era la culla dove dormiva la figlia Claudine.

***

Passarono così molti anni. Claudine, quasi una donna, girava il latte e Gisela, ancora piena, intrecciava rami sui quali maturavano uova di siero e sostanza. Un giorno Claudine fermò lo stecco nel pentolone e si lamentò. Mamma, disse, vorrei vedere la città. E Gisela rispose: il sole è sorto da poco e Gioele non rientrerà prima del tramonto. Vestiamoci e andiamo in città. Porteremo con noi ricotte e lana, e le scambieremo, se siamo fortunate, con zenzeri freschi e datteri d'Africa.

E la città era così grande. Sventagliavano i banchi degli speziali, gli agnelli freschi ancora gocciolanti ai ganci dei macellai, drappeggiavano le stoffe, dentro le botteghe buie croccavano le focacce e il pane, i sacchi di droghe e le farine, e agli angoli le fattucchiere e gli straccioni, piagati mostruosi, si offrivano di provocare un destino o di leggere il futuro in una manciata d'ossa o nella forma di uno sputo per terra, per un cucchiaio di ricotta di pecora. “Mamma – aveva mormorato Claudine davanti a un cartello di legno dipinto – vado a farmi dire il destino”.

C'era una tenda buia, un indovino vaticinava nella stanza e bruciava un impasto d'incenso. Poi tacque. Quando ebbe finito di parlare, Claudine ansava, e si sentì stringere la mano più forte.

Claudine credette di vedere le sue orbite azzurre anziché vuote, e il siriano che aveva parlato, che era giovane e cieco, l'afferrò nell'intervallo di silenzio di lei e le si strinse addosso, Claudine piangeva e il siriano l'annusava, Claudine si premeva la testa nera sul petto e diceva come sono sola come sono sola, il siriano si spingeva addosso a lei e Claudine tremava tremava, finché si calmò – gemeva piano, come una cavalla, in una tempesta di vestiti e piedi nudi quando Gisela si accostò alla tenda e fece cenno di entrare, contenta di aver scambiato una ricotta di pecora per una manciata di datteri d'Africa.

***

Ora niente era al proprio posto. Le rocce erano farinose e gialle, gli alberi secchi, i frutti verminosi, i prati ispidi e spazzati di vento. Gisela portava l'erba alle pecore, Claudine rovesciava il luridume in secchi e i secchi nelle fosse. Mentre guardavano le pecore si montavano fra loro e lasciavano semi neri sui campi. Claudine disse: “Il siriano ha visto che vivremo in città, saremo ricche e staremo bene, insieme”; “ma come possiamo fare”, rispose Gisela, che portava sui fianchi un fascio di fieno.

“Venderemo le bestie”, disse Claudine.

“Venderemo le bestie, ma dovremo preparare un inganno”, rispose Gisela, e gettò l'erba alle pecore mute.

La notte galleggiava intorno a uno spicchio e una ridda di stelle, Gisela e Claudine percossero la porta e nella stalla fu come un bagno la luna sul fieno e la lana delle pecore addormentate. Gli agnelli più piccoli presero Gisela e Claudine, zittirono le madri e li soffocarono in una coperta e sui corpi sfregarono gli zenzeri, sulle groppe e sulle cosce li sfregarono finché non sentirono il vello disfarsi e si furono bagnate le dita del primo sangue, ma era un sangue drogato che bruciò loro le mani. E quando Gioele vide gli agnelli morti piagati pensò a malattie che non conosceva, a una malia o una disgrazia, ed ebbe dolore, e con dolore parlò la sera a Gisela e Claudine, e Gisela e Claudine si abbracciavano e piangevano, ché le bestie morivano i campi seccavano e la casa cadeva a pezzi, e tanto valeva vendere tutto e cercare di farsi una vita in città.

***

Gioele e Spartaco sapevano aspettare. Nei mattini di sole capitava che guardassero il fiume bianco luccicare ai piedi delle case, fino al porto. La città era grande, le barche passavano sotto i ponti ed era un sospiro di legna e urla di marinai, e le ragazze vestite di trina si fermavano lungo le balaustre coi petti gonfi e fiori nei capelli, e sorridevano agli uomini come fosse primavera, come fossero già sfracellate lungo un canale di corpi pieni e disfatti, di proliferazione.

Ogni giorno nel fresco della bottega Claudine si piegava sui tagli di vacca e d'agnello, passava le mani sulle bestie esotiche e le dissezionava secondo un istinto di scomposizione o un intuito per la base dei nervi, le intersezioni, i nodi che trattengono la vita nella sua maglia nervosa e muscolare. Gisela, invece, teneva i conti della macelleria e si compiaceva della figlia, se si passava le mani sul grembo e le dita lasciavano una ragnatela umida sulla superficie della pancia pulsante. Ogni sera contavano i soldi e tornavano a casa con una borsa di cuoio spessa e una carta di manzo o altra carne se avanzava sul banco e la drogavano su un ceppo di legno e la cuocevano in una pentola nera alla base del camino. Gioele e Spartaco rientravano quando tutte le navi erano passate lungo il fiume bianco ai piedi delle case e Gisela serviva la carne e mangiavano in silenzio. Quando i piatti erano vuoti Gisela e Claudine si ritiravano, Gioele scaldava una pentola d'acqua sul fuoco radunava i piatti versava l'acqua grattava un pezzo di sapone nell'acqua lavava i piatti del sangue e delle droghe e lavava le mani e i polsi e gettava l'acqua fuori della porta e passava la ramazza e versava altra acqua e altro sapone sulle pietre e strusciava lo straccio finché il pavimento non era bruno e poteva asciugare al silenzio della luna. Una sera Gioele passava appunto lo straccio quando si piegò e cadde sul pavimento ancora sporco.

Gisela e Claudine rientravano a casa a buio fatto, ogni sera portavano una carta piena di viscere o altra carne se avanzava sul banco e ne facevano stufato e mangiavano in silenzio. Poi Gisela raccoglieva gli avanzi in una scodella e Claudine radunava i piatti versava l'acqua grattava un pezzo di sapone nell'acqua lavava i piatti e sospirava, così colma di stanchezza e già lo si poteva vedere del seme di un uomo che la sera si affacciava sulla soglia con un mantello da ufficiale e i mustacchi arricciati coi ferri. Mormoravano il militare Ranieri e la macellaia Claudine sulla soglia della casa di città al silenzio della luna. Gisela impartiva cucchiai di carne avanzata, Gioele apriva allungava la lingua gialla e si lasciava imboccare, le mani afflosciate sul petto carezzavano il lenzuolo e il letto era un giaciglio di paglia e aveva un odore dolciastro. Quando era stanca Gisela lasciava la scodella per terra e si ritirava. Spartaco leccava ciò che era avanzato.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :

  • Il regime alimentare dei filosofi dell’antichità

    E certamente non furono degli sciocchi coloro che istituirono i Misteri: e in verità già dai tempi antichi ci hanno velatamente rivelato che colui il quale... Leggere il seguito

    Il 27 giugno 2015 da   Bloody Ivy
    DIARIO PERSONALE, TALENTI
  • Venerdì 26 giugno il mondo che, a tratti, vorrei

    Sono una donna fortunata.Amata fin dal primo vagito, da un uomo ed una donna, che mi hanno dato una casa, un'istruzione, mille vizi e mille... Leggere il seguito

    Il 27 giugno 2015 da   Patalice
    DIARIO PERSONALE, PER LEI, TALENTI
  • Parigi-Firenze: Una distanza che uccide lentamente

    Buongiorno a tutti cari lettori e puntuali come al solito, vi presento il nostro appuntamento con la rubrica settimanale “5 Words for one story” Come al... Leggere il seguito

    Il 23 giugno 2015 da   Andrea Venturotti
    RACCONTI, TALENTI
  • Crociere da sogno con MSC

    La mia vacanza ideale? Una crociera all'insegna dei paesaggi da sogno,  del relax e del divertimento, ne sogno una da anni...oggi vi segnalo un'opportunità per... Leggere il seguito

    Il 22 giugno 2015 da   Maddalena R.
    FAI DA TE, PER LEI, TALENTI
  • Tutti vogliamo ossitocina!

    L'ossitocina è un ormone prodotto dall'ipotalamo e secreto dalla neuroipofisi, una struttura anatomica della grandezza di un fagiolo, posta alla base... Leggere il seguito

    Il 22 giugno 2015 da   Stefano Borzumato
    DIARIO PERSONALE, SOCIETÀ, TALENTI
  • Buon viaggio

    A me spiace sai? Mi spiace che sei nero. Certo che proprio nero dovevi nascere? Evvabbè bisogna portare pazienza. E mi spiace anche che sei nato nero e africano... Leggere il seguito

    Il 20 giugno 2015 da   Olivierifrancesco
    CULTURA, DIARIO PERSONALE, MUSICA, RACCONTI, TALENTI