“Nel '64 facevo tondi monotipati. Però il tondo non si muoveva da un punto di vista dinamico. Allora l'ho tagliato al centro, ho tolto la parte interna e ho creato una relazione con l'esterno. E il tondo ha cominciato a vibrare. Il mio segno non è nato da un ready made, dall'aver preso una lettera dell'alfabeto, o dalla geometria. Nel '67 feci il primo quadro con l'ellisse.1 Tra ghestaltismo e psicologia dell’inconscio, al di là della pluralità dei significati simbolici, la ricerca estetica di Ermanno Leinardi si fonda sul rigore della linea e sull’ambiguità dell’ellisse come oggetto di analisi. Dalla casualità di una macchia d’inchiostro caduta accidentalmente per terra, ma anche dalla ricerca di un equilibrio instabile, origina la O, matrice dello spazio ambiguo della percezione. Oggetto in relazione con gli altri segni e lo spazio circostante che consente un’esplorazione strutturale per una organizzazione del campo che rientra nella logica costruttivista eludendone il purismo. Le ellissi si dilatano, si muovono, giocano con le rette per disporsi ritmicamente attraverso un sistema segnico che può avere valenza geometrica, coloristica e materica. L’artista ne coglie le infinite possibilità di combinazione per individuarne le caratteristiche dinamiche e indagare quanto lo spazio condizioni segni e forme. Una analisi rigorosa e sperimentale attraverso quelle che Argan chiama microstrutture della visione ma che non trascura il valore poetico dell’espressione evidenziando che anche nella logica è insito l’elemento umoristico, poiché “da qualche parte, dietro la pagina bianca, qualcosa ride”, per dirla con Michel Seuphor. Tra razionalità e fantasia, tra calcolo e casualità, tra poesia e gioco, è l’inganno percettivo alla base del percorso di Leinardi all’interno del concretismo plastico, che mette in discussione calcoli e risultati per dare spazio alla fantasia. “Desideravo mettere un po’ di fuoco nel cervello del fruitore per fargli acuire la sua percezione visiva, attraverso il mio lavoro volevo obbligarlo a vedere in maniera più consapevole.”La pittura emozionale con valenza ambigua della percezione vede il suo culmine negli anni Ottanta con la serie transazionale Spazi Ambigui, opera in divenire, work in progress aperto verso nuove esperienze e visioni che si connota come l’insieme dei capitoli di un libro. Le composizioni sono centralizzate, contraddistinte da campiture piatte e cromatismi opachi dai toni smorzati coerenti con la costruzione dell’opera, per dare luogo a scenari sintetici quanto evanescenti, dal momento che “è quella calcolata economia di segni che crea le condizioni di ambiguità”2. Asimmetrie inattese, alterazioni della linea, focalizzazione dello spazio come elemento variabile, tutto concorre a strutturare quell’inganno percettivo fatto di equilibri instabili ma soprattutto di spazi ambigui, in linea con la posizione paradossale di Kubrik: “mi è sempre sembrato che nell’arte una ambiguità veritiera sia la forma più perfetta di Espressione. A nessuno piace che gli vengano spiegate le cose.”3
Roberta Vanali
1 Dall’intervista di Patrizia Veroli per Terzoocchio n. 3, settembre 2006. 2 Fernad Fournier, L’espace ambigu, testo presentazione mostra, Parigi, 2006. 3 Robert Emmett Ginna, “The Odissey Begins” in Entertainment Weekly, 9 aprile 1999.La retrospettiva Spazio Ambiguo, costituita da 50 opere di Ermanno Leinardi, verrà allestita nello spazio 2+1 Officina Architettura dal 14 al 25 luglio con la curatela di Roberta Vanali e la collaborazione di Margherita Fadda.
www.duepiuuno.net