Specchi riflessi

Da Shappare
“Non è vero che hai gli occhi verdi”
“Perché, a te di che colore sembrano?”
“Ma sì, però un verde strano”
 
…Green eyes, you’re the one that I wanted to find
and anyone who tried to deny you must be out of their mind…
 
Io e Gaia, sempre agli ultimi banchi.
Lei occhi verde acqua di Tropea e grandi e tondi;
io di un verde più scuro e taglienti.
Lo stupido test in cui sia la mia migliore amica che il mio ragazzo avevano risposto che la mia parte migliore sono le labbra. No, perché le labbra.
 
E invece Betty mi aveva detto che erano gli occhi, in quella casa sopra Strada Nuova con le luci soffuse.
Però anche il naso.
La mattina mi ero svegliata trovandomela a cinque centimetri dal viso.
“Hai un naso perfetto!”, si era giustificata; quello è stato il momento in cui ho smesso di farmi le canne a casa di Betty. Anzi, ho smesso del tutto, non mi piaceva granché.
 
Il giugno in Makedonias con i compagni antichisti e Ambaglio che litigava con la guida perché quella a Verghina non può essere la tomba di Filippo II.
Il primo anno di Università che finiva, tu a che curriculum ti iscrivi?
Sono indecisa tra il filologico e lo storico.
No, lo storico no.
Ma scusa, non fai lo storico, tu?
Appunto, poi mi rubi Ambaglio. Hai degli occhi troppo belli, lucidi. Sembra che tu abbia sempre appena smesso di piangere.
 
Poi i dieci mesi d’ospedale e quel ponte d’ognissanti che pareva infinito. Tre giorni con gli stessi vestiti, infilarsi una tuta in bagno e vederlo andar via mentre hai i pantaloni al contrario.
Silvia che mi scriveva Fossati da lontano.
Sei tu la donna che ha lottato tanto perché il brillare naturale dei suoi occhi non lo scambiassero per pianto.
 
Quell’inverno a Pavia in cui abbiamo ospitato Nicola che fuggiva dal Ghislieri e dalle aspettative.
Aveva portato una pianola e la sabbia dell’Africa.
Aveva messo in crisi Benedetta, dicendole subito che soffriva di esoftalmia evidente.
Poi, mentre giocavamo a Memory, mi aveva guardata:
“Il mondo non è fatto di occhi verdi”, con quell’accento di Venosa laconico.
 
L’estate in cui ho scelto di non andare al mare ma a un campo di Libera.
La stanza divisa con una ragazza di Sondrio con una quarta di reggiseno e gli altri che ci prendevano in giro perché sembravamo il prima e il dopo di un passaggio dal chirurgo;
il gruppo di ragazzi di Bisceglie e quello tra loro che mi guardava e non mi rivolgeva la parola.
Ma cos’ha Giovanni? Niente, lui è così.
“Quando sei arrivata alla Casa per la Pace mi è venuta in mente la canzone Occhi da orientale, ed è così ogni volta che ti guardo”
 
Un giorno sono andata a rifare la carta d’identità.
Ho copiato quel che un’altra santa donna del comune aveva compilato per me, la volta prima.
“Signorina, questo non va bene”
 “Veramente ho copiato pari pari quel che c’era scritto sulla carta d’identità vecchia”
“Non si può più scrivere definizioni composite”
“Per i capelli biondo scuro, dice?”
“No, per gli occhi grigio-verdi. Deve scriverne uno”
“Sì ma capisce, dipende da vari fattori.
Dalla luce, dai vestiti, dal mio umore, dall’umore di chi guarda.
Dalle stagioni. Anche i capelli mi cambiano colore a seconda della stagione, sa?
Non posso, non…”
“A signorì, verdi o griggi?”
“… Verdi”, mestamente.

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