Ora questa tradizione “caratteriale” si respira in lungo e in largo in questo piccolo gioiello caleidoscopico di un jazz trasversale macchiato di gestacci zappiani e lucidità “classiche” (indipendentemente dall'ascendenza linguistica, quindi mi riferisco anche al rock e al Novecento storico). Tutto parte dall'assemblaggio delle timbriche: fiati sparsi tra Marc Maffiolo (sax basso e tenore) e Ferdinand Doumerc (flauto e sax baritono, sopranino, alto e tenore), apparato percussivo in mano a Stéphane Gratteau (batteria) e Guillaume Amiel (marimba bassa, vibrafono e altri aggeggi), apparente maestro concertatore Réme Leclerc (piano elettrico Fender Rhodes, un bel Moog guastatore, organo Hammond e Clavinet), chiude la banda Maxime Delporte al contrabbasso. Il catalogo dei suoni è ritagliato con cura e riassemblato con lo spirito di un puzzle cubista. Strani incontri tra i Pink Floyd e Lionel Hampton (Un peuplier un peu plié), Zappa e Shostakovich (la marcetta nevrotica La serrure). E ancora: variazioni contemporary e free jazz (Sprouts), lounge e striature davisiane (Nebulos, Troïde), blues da Big Band e dissonanze pianistiche (Soft Fate eFast Fate), ruggiti di primitivismo minimalista tra Varèse, Steve Reich ed Henry Cow (Boletus Edulis... eh sì, un elogio al fungo porcino) ed echi di colonne sonore di probabili telefim (Le Chifre). Emblematica e riassuntiva la vorticosa Dynamique cassoulet in cui gli Stabat Akish ci portano in viaggio attraverso i generi più disparati: inizio bachiano conertito presto in un'inaspettata cesura heavy con uno sviluppo samba jazz e una chiusura crooner alla Platters. © Riccardo Storti
Speciale ALTROCK / Stabat Akish - Nebulos (2011)
Creato il 12 settembre 2012 da ScrittoreprogressivoOra questa tradizione “caratteriale” si respira in lungo e in largo in questo piccolo gioiello caleidoscopico di un jazz trasversale macchiato di gestacci zappiani e lucidità “classiche” (indipendentemente dall'ascendenza linguistica, quindi mi riferisco anche al rock e al Novecento storico). Tutto parte dall'assemblaggio delle timbriche: fiati sparsi tra Marc Maffiolo (sax basso e tenore) e Ferdinand Doumerc (flauto e sax baritono, sopranino, alto e tenore), apparato percussivo in mano a Stéphane Gratteau (batteria) e Guillaume Amiel (marimba bassa, vibrafono e altri aggeggi), apparente maestro concertatore Réme Leclerc (piano elettrico Fender Rhodes, un bel Moog guastatore, organo Hammond e Clavinet), chiude la banda Maxime Delporte al contrabbasso. Il catalogo dei suoni è ritagliato con cura e riassemblato con lo spirito di un puzzle cubista. Strani incontri tra i Pink Floyd e Lionel Hampton (Un peuplier un peu plié), Zappa e Shostakovich (la marcetta nevrotica La serrure). E ancora: variazioni contemporary e free jazz (Sprouts), lounge e striature davisiane (Nebulos, Troïde), blues da Big Band e dissonanze pianistiche (Soft Fate eFast Fate), ruggiti di primitivismo minimalista tra Varèse, Steve Reich ed Henry Cow (Boletus Edulis... eh sì, un elogio al fungo porcino) ed echi di colonne sonore di probabili telefim (Le Chifre). Emblematica e riassuntiva la vorticosa Dynamique cassoulet in cui gli Stabat Akish ci portano in viaggio attraverso i generi più disparati: inizio bachiano conertito presto in un'inaspettata cesura heavy con uno sviluppo samba jazz e una chiusura crooner alla Platters. © Riccardo Storti
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