Speciale Cinema – Un sapore di Ruggine e Ossa

Creato il 05 ottobre 2012 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Pubblicato il 5 ottobre 2012 con Nessun Commento

Un sapore di ruggine e ossa
Nelle sale dal 4 ottobre

Presentato allo scorso Festival di Cannes e accolto da una serie di elogi da parte di pubblico e critica, finalmente esce in Italia il 4 ottobre Un sapore di Ruggine ed Ossa, ultima fatica del regista francese Jacques Audiard, con protagonisti Marion Cotillard e Matthias Schoenaerts.
Alì, un giovane ragazzo padre con il figlio a carico, vive la sua precaria esistenza rovistando tra i cassonetti dell’immondizia per trovare del cibo e si barcamena come può in una serie di lavoretti umilianti e piccoli furti. Stephanie è una ragazza borghese che lavora come ammaestratrice di orche in un acquario, ma un giorno, a causa di un problema, uno degli animali le divora entrambe le gambe costringendola a rimanere per sempre su di una sedia a rotelle. L’incontro tra Ali e Stephanie prenderà le pieghe di un viaggio non solo fisico ma catartico per entrambe queste anime alla deriva.

La frase chiave: “Talvolta bisogna scavare fino alle ossa per arrivare al cuore”

La recensione
Ancora una storia d’amore nel panorama cinematografico dei nostri tempi, ma stavolta non è quello che ci si potrebbe aspettare e deve apparire più che logico se dietro questo film, forse il migliore d’inizio stagione, si celano due nomi particolari come quello di Audiard, regista del duro e poetico “Il Profeta”, e quello dello scrittore americano Craig Davidson dal cui romanzo è stata tratta la sceneggiatura.

Già la storia, pur apparentemente intrisa di de ja vù, fa sentire il suo essere al di là del comune senso narrativo. Audiard ritorna ancora una volta a parlare della prigione, come aveva fatto ne Il Profeta, soltanto che stavolta non immerge la sua macchina da presa nel luogo fisico dell’alienazione umana, ma mostra la gabbia che è dentro lo stesso uomo, quella fatta di paure, solitudine e rabbia.

Tutto intorno il mondo sembra guardare con freddezza ciò che accade ai due protagonisti, moderni paladini e frutto di una società allo sbando e colpita dalla crisi economica. Il regista in maniera a dir poco magistrale trasla la fredda potenza della pagina scritta di Davidson girando un apologo spietato e profondo su due emarginati, freaks dentro e fuori da sé, che lottano testardamente contro i limiti imposti nel loro corpo e nella loro vita. E nell’accettare quelli che sono i sentimenti che li animano costantemente. Il sesso diviene quindi il collante d’amore per due corpi mostrati con lucido e sporco pudore: nessuna caduta nel pietismo e nella lacrima facile, tutto per il regista deve essere mostrato privo di una partecipazione a tesi.

Ed è qui, in questo gioco di sottrazione continua, dalla fotografia alla recitazione, che il film riesce nel toccare le corde più intime dello spettatore e farlo commuovere e riflettere sulla caducità umana e sul mondo che ci circonda. La fotografia sporca e sgranata aiuta il bravo Matthias Schoenaerts a cesellare una performance difficilmente dimenticabile per un personaggio non scontato e cui si è refrattari ad affezionarsi. Ancora più difficile poi è giudicare Marion Cotillard, una che con La Vie en Rose sembrava già aver dato tutto lo sfoggio possibile di bravura, interpretando Edith Piaf. All’epoca ci fu un Oscar meritatissimo e la strada spianata verso Hollywood. Stavolta l’attrice si supera e, con il volto privo di trucco e stravolto dal dolore, regala la sua migliore interpretazione: un mix di umanità e fragilità che difficilmente si possono dimenticare.

 A cura di Katya Marletta e Gabriele Marcello


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