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Speciale Il linguaggio segreto dei fiori - Ogni fiore ha la sua storia
Creato il 26 aprile 2011 da GiulieNella giornata di oggi e per i prossimi due giorni ci saranno due racconti al giorno per ovviare alla pausa delle festività. :)
Allora, ecco a voi il primo di oggi, l'alisso, fiore dolce e delicato come il VALORE AL DI LA' DELLA BELLEZZA.
LA REGINA DELLE ORCHIDEE
Sara, occhi piccoli e naso aquilino. Sara, novantasei chili su un metro e settanta di altezza. Sara, la brutta. Sara.Era sempre stato difficile essere Sara o, per lo meno, era sempre stato difficile essere nel corpo di Sara. Fin da piccina era stata fuori dalle misure, in tutti i sensi. Quando gli altri bambini giocavano spensierati nel parco, correndo giù per lo scivolo e oscillando sempre più veloci sulle altalene, Sara stava in un angolo a guardare. Aveva provato un giorno a scivolare anche lei lungo la lingua di metallo, ma le cosce grassocce entravano a fatica nel piccolo scivolo e si era dovuta spingere con le mani per poter arrivare in fondo. Tutti i bambini che si erano radunati intorno per vedere erano scoppiati una fragorosa risata quando Sara si era allontanata correndo goffamente in preda alla vergogna.A scuola non andava meglio. In classe veniva derisa dai ragazzini più sbruffoni e quelli che in un primo momento le parlavano o passavano il tempo della ricreazione con lei si erano a poco a poco allontanati per paura di diventare prossimi bersagli di scherzi e battutacce.Sara allora si chiudeva in camera a piangere per interi pomeriggi e nelle pause tra un singhiozzo e un altro si riempiva la bocca di cioccolata e caramelle. Voleva diventare ancora più brutta.Crescendo il suo fisico non era migliorato, anzi. La ciccia morbida che avvolgeva il suo corpo cresceva insieme a lei e Sara aveva preso a vivere come una reclusa. La madre continuava a trattarla come fosse una bimba di due o tre anni e Sara odiava quando la chiamava in modo stucchevole “principessina”. Il suo nome in ebraico significava veramente “principessa”, ma in lei non c’era niente di regale e quel diminutivo poi, per un corpo che si avvicinava al quintale, era un affronto.Col passare del tempo prese a non mettere più il naso fuori casa neanche per raccogliere le erbe aromatiche che crescevano in giardino; fare i gradini che dalla veranda conducevano al fazzoletto di terra diventava ogni girono più faticoso. L’unica cosa che riusciva a fare senza il minimo sforzo era prendersi cura delle sue orchidee.In una stanza al primo piano della sua casa, Sara aveva creato una specie di serra; c’erano orchidee di tutti i tipi e di tutte le forme. Le sue preferite erano le Phalaenopsis e Dendrobium. Amava i loro petali carnosi e i fiori che sembravano pendere pesanti dal lungo stelo; la loro delicatezza le ricordava quando potesse essere fragile una vita anche nella sua più sfolgorante veste.Nelle orchidee Sara concentrava la tristezza per un corpo che non voleva e l’armoniosità delle piante le sfiorava la pelle quasi fossero carezze proibite; quel piccolo angolo che si era ricavata le serviva per andare avanti, per pensare che la vita non poteva poi fare così schifo dal momento che era anche capace di creare simili bellezze. Il problema era che la bellezza non aveva niente a che fare con Sara. Almeno questo era quello che credeva fermamente.Per le sue orchidee non andava mai di persona dal vivaista che si trovava nei pressi della sua cittadina, ma ordinava ciò che le serviva per telefono, poi un ragazzo le consegnava tutto scaricandolo davanti il portone di casa e Sara lentamente portava le cose dentro la sua stanza-serra.Il ragazzo delle consegne non chiedeva mai perché la misteriosa acquirente non si facesse vedere, ma rispettava in modo preciso e puntuale le indicazioni che gli erano state impartite.Sara lo osservava nascosta dietro la finestra e si assicurava di sentire il borbottio del furgone spegnarsi dietro la curva prima di schiavare il portone di casa.Un giorno, però, il ragazzo mancò all’appuntamento. Al suo posto arrivò un tizio sulla cinquantina che con fare decisamente sgraziato si attaccò al campanello del citofono per comunicare che aveva fretta e non poteva perdere tempo a scaricare tutto da solo. A Sara vennero le lacrime agli occhi per la rabbia, non sarebbe uscita ad aiutarlo, non sarebbe uscita punto e basta. Allora l’uomo in preda alla collera scaraventò a terra i pacchi che aveva tra le braccia e sbatté i vari sacchetti di terra per orchidee contro la porta. Fatto questo se ne andò, sgommando con il furgone. Quando Sara aprì il portone, lo spettacolo che si ritrovò davanti non era dei migliori. Tre dei sette vasi che aveva ordinato per travasare le piante si erano scheggiati e, soprattutto, la terra di due sacchetti era fuoriuscita sul pavimento spargendosi scura e umida.Non si preoccupò neanche di pulire tanta era l’arrabbiatura che aveva in corpo e si diresse con passi tonanti verso il mobiletto dove era appoggiato il telefono.Stette più di mezz’ora a lamentarsi con la segretaria del vivaio, a volte urlando a volte cercando di riacquistare il controllo di sé. Si era sentita umiliata, il tizio che aveva consegnato sapeva qual era il motivo per cui Sara non si faceva vedere e nell’andarsene l’aveva apostrofata con un “maledetta lurida grassona”.Nel fiume di parole che aveva scaraventato contro l’ignara donna al di là della cornetta, aveva chiesto anche il perché dell’assenza di quel ragazzo tanto a modo che le aveva portato la roba fino a qualche settimana prima. Si era sentita rispondere che aveva avuto un incidente, proprio mentre lavorava, e ora si trovava in ospedale nella speranza di guarire completamente.Sara aveva avuto un sussulto al cuore sentendo la notizia; quel ragazzo non meritava quelle sofferenze e l’istinto fu di cercare un modo per rendergli la permanenza in ospedale il meno dura possibile.Ma cosa aveva da offrirgli? Sara non sapeva quali potevano essere le abitudini di un ragazzo della sua età; Sara non sapeva quali potevano essere le abitudini di nessuno dal momento con usciva più di casa da anni. Si sedette sulla robusta poltrona a pensare quale fosse la cosa migliore e dopo un’ora e un quarto giunse alla conclusione più naturale e ovvia. Un’orchidea.Sicuramente poteva non essere un passatempo divertente, ma di certo avrebbe portato un po’ di colore nel grigio verde delle pareti dell’ospedale. Scelse la più bella che aveva, quella dai fiori viola intenso con striature di bianco. Ma ora il problema era come fargliela recapitare. Pensò molto anche a questo e alla fine si decise per la cosa che mai e poi mai avrebbe pensato di fare. Gliela avrebbe portata lei stessa. Quel ragazzo se lo meritava, glielo doveva.Prima di uscire di casa si guardò allo specchio, con l’orchidea in mano nessuno l’avrebbe notata. La bellezza della pianta attirava a sé tutti gli sguardi e con questo scudo protettivo si incamminò verso l’ospedale.Quando arrivò davanti alla camera del ragazzo, dovette fermarsi un attimo; il respiro era affannoso per via dell’ultima rampa di scale che era stata costretta a salire. Inspirò profondamente, bussò con delicatezza e poi entrò. Il ragazzo stava disteso nel letto, le gambe ingessate e tenute sollevate per far circolare il sangue, la faccia piena di lividi e gonfia. Sara provò un’enorme pena. Appoggiò la pianta sul tavolinetto addossato al muro e si schiarì la voce per parlare, ma il giovane la precedette.«Lei è la signora delle orchidee...grazie» disse con un filo di voce. «Non sa cosa darei per vedere le sue piante, ma avevo troppo paura per chiederglielo».Gli occhi di Sara sorrisero. «Quando vuoi, basta che suoni il campanello. Io sono sempre a casa».In quell’attimo il suo animo si alleggerì di tutto il peso accumulato negli anni di solitudine. C’era ancora chi sapeva andare oltre le apparenze.
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