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Speciale La Biennale di Venezia: “Mountain” di Yaelle Kayam, il personale riscatto di una coscienza

Creato il 18 settembre 2015 da Alessiamocci

Giorni fa vi abbiamo presentato “The Danish girl” di Tom Hooper; oggi è la volta di un’altra anteprima cinematografica presentata a La Biennale di Venezia: “Mountain” di Yaelle Kaiam. 

Mountain, opera prima della regista Yaelle Kaiam, ambientato sul Monte degli ulivi, incrocio di ben tre religioni monoteiste,  racconta, con pochi dialoghi e immagini molto incisive, la doppia vita di Tzvia, moglie e madre di quattro figli, in crisi con la sua femminilità e disposta a tutto pur di ritrovare l’intimità con il marito.

L’intreccio si svolge in due location nettamente contrapposte: la casa di Tzvia e della sua famiglia, regno dei “Vivi”, e il cimitero, di giorno silenzioso,  di notte, luogo di piacere.

La casa è il luogo in cui la donna, con abiti larghi e chiari, si dedica alla sua famiglia, alla cura dei figli e alla cucina, trovando ormai poca soddisfazione nelle consuete abitudini quotidiane, che sembrano appesantirla.

Complice la distanza col marito Reuven, che sembra rifiutarla e non desiderarla. Una notte Tzvia, triste, confusa ed in cerca di aria, si addentra nell’oscurità del cimitero, e finisce per essere attratta dai gemiti di una coppia intenta a fare sesso su una lapide.

Comincia ad insinuarsi nella sua coscienza una morbosa curiosità, che porta la donna ogni sera a tornare in quel luogo di perdizione e la spinge stringere un insolito rapporto con le prostitute che si nascondono con i loro amanti nel luogo dei “morti”.

Mountain è il viaggio di una coscienza, che sceglie di non sottomettersi totalmente alle abitudini che la vedono schiava di una vita che non sente più sua, e disperatamente cerca, immersa in lunghe camminate tra le lapidi, una fuga  ed un’alternativa alla solitudine.

Il confine tra giorno e notte, tra la donna regina del focolare domestico e la prostituta, è netta, come sono ben delineati i contorni di ciò che accade: durante la giornata tutto è scandito da orari, abitudini, rituali.

L’oscurità della notte è invece  popolata da prostitute e da anomali personaggi  ed è caratterizzata  dall’unico piacere che si concede Tzvia: il voyerismo, che sembra voler appagare quella mancanza di unione fisica e spirituale che la donna non trova più nel rapporto intimo con suo marito.

Umiliata in casa e ferita dalle parole di una delle due prostitute, Tzvia, capovolge la situazione con l’unico nutrimento e piacere che riesce ancora a concedersi e a donare agli altri: la cucina.

Il cibo, diventa riscatto di una vita e potere nelle mani di Tzvia, che prepara manicaretti per la famiglia e per gli oscuri personaggi che incontra la notte: condannata ad una discesa tra le zone più oscure della sua coscienza, e lontana dalle consuete abitudini che la vogliono moglie e madre perfetta, architetta cinicamente – e molto freddamente – la sua personale vendetta.

Epilogo non felice, ma apprezzabile la scelta di  lasciare al pubblico l’interpretazione della condanna stabilita da Tzvia.

Written by Sarah Mataloni 


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