
Jorge Mario Pedro Vargas Llosa nasce il 28 marzo del 1936 ad Arequipa, una città del Perù meridionale, in una famiglia creola del ceto medio. Vive fin da giovanissimo esperienze oltre i confini del suo Paese: cresce in Bolivia, studia Lettere e Giurisprudenza presso l'Universidad Nacional Mayor de San Marcos. Vargas Llosa oltre che scrittore, come numerosi altri autori latinoamericani è particolarmente attivo politicamente. Negli anni cinquanta si dichiara vicino a Fidel Castro e alle sue idee, per poi però distanziarsene e criticarle. Tale gesto gli causa forti attriti con l'amico-nemico Gabriel García Márquez, apertamente di sinistra, sul quale Vargas Llosa nel 1971 aveva scritto una tesi di dottorato. I due, in seguito a tali divergenze, recidono del tutto i propri rapporti di amicizia, in un clima di tensione mai successivamente sopito.


La Recensione
Il romanzo si snoda attraverso tre linee narrative. La prima, quella che apre il romanzo, ha la voce di Urania Cabral, affermata professionista che ha lasciato Santo Domingo all’età di quattordici anni e vi torna dopo 34 senza un motivo specifico. Forse, dopo tanti anni, è pronta a fare i conti con il proprio passato e i suoi passi, durante l’abituale corsa mattutina, la portano sulla soglia della vecchia casa di famiglia, dove vive ancora il padre Agustin Cabral, ex Presidente del Senato ai tempi di Trujillo, immobilizzato a causa di un ictus e con il quale aveva interrotto tutti i contatti dal giorno della partenza per gli Stati Uniti. Urania, nel corso della sua lunga giornata, si ritrova anche a parlare con nostalgici anziani e con giovani che hanno mitizzato il periodo della dittatura ricordando con nostalgia che tutti lavoravano e non c’era microcriminalità; l’orrore è diventato mito, si trova a pensare una stupefatta Urania che ricorda bene la mancanza di libertà, anche nella propria vita personale, imposta da regime di Trujillo.La narrazione di Urania si alterna a capitoli i cui protagonisti sono il gruppo di dominicani che ha organizzato, e poi portato a termine, l’attentato a Trujillo. Li troviamo seduti in macchina, a fari spenti, con le pistole in mano, mentre aspettano l’auto del Chivo (in spagnolo “caprone”, il nomignolo con cui era indicato da amici e nemici Trujillo) che dovrebbe passare proprio da quel punto per recarsi nella sua casa di Caoba, fuori Santo Domingo (o meglio Ciudad Trujillo, come era stata ribattezzata), luogo destinato ai festini del Capo o all’incontro con i suoi fedelissimi per predisporre quelle azioni di violenza o di pubblico linciaggio che avevano permesso al dittatore di restare in carico per trent'anni. Il racconto non termina con la morte di Trujillo perché Vargas Llosa ci racconta cosa accadde dopo l’attentato sino a ricongiungersi idealmente alla passeggiata che trentaquattro anni dopo Urania farà per Santo Domingo, dove quegli uomini sono diventati eroi anonimi cui dedicare vie e piazze.La terza linea narrativa segue Trujillo in quella che sarà la sua ultima giornata di vita, dalla sveglia alle quattro del mattino sino alla corsa in automobile verso la casa di Caoba ed è proprio nella figura del Chivo che, secondo me, Vargas Llosa mostra tutta la sua bravura nel delineare i personaggi nella loro sfera motivazionale. Trujillo è descritto dall'autore senza alcuna valutazione estrinseca alle sue azioni (era un mostro crudele o un salvatore della patria che non si poneva il problema dei mezzi con cui raggiungere il fine ultimo?), l’unico punto di vista riportato è quello dello stesso protagonista: tutte le azioni, anche le più riprovevoli, commesse da Trujillo sono descritte come inevitabili, perché a raccontarle è lo stesso protagonista. Questa soluzione stilistica, che aveva già trovato magistrale applicazione in La guerra della fine del mondo, non ha né risultati caricaturali né tanto meno l’effetto di coprire di un’aura di simpatia il Chivo, che era e rimane un dittatore. Il risultato è un racconto profondamente onesto (nel senso che Trujillo appare sincero nelle sue spiegazioni) come quello che potrebbe venir fuori da una lunga esperienza psicoanalitica. Nessun compiacimento nel narratore ma la convinzione che solo con l’omicidio era possibile fare uscire di scena quell'uomo così carismatico che, nonostante tutti gli orrori commessi, aveva saputo soggiogare e affascinare un intero popolo per trentuno anni.Oltre all'assenza della voce diretta ed esplicita dell’autore (di cui non conosciamo l’opinione), altro elemento degno di nota del libro è la soluzione narrativa di annullare la distanza temporale: non c'è soluzione di continuità tra il presente e il ricordo di eventi passati. I protagonisti iniziano a raccontare, o ricordare, eventi passati e dopo qualche riga i verbi utilizzati scivolano dal tempo passato al presente, i ricordi prendono vita e i fatti accaduti si svolgono lì davanti agli occhi di chi narra e di chi ascolta. L’arresto di un fratello, la violenza perpetrata a una compagna di classe, l’eliminazione violenta di migliaia di haitiani non sono ricordi alleggeriti dal tempo, ma fatti che conservano ancora tutta la loro forza e la loro carica emotiva, come se si stessero svolgendo dentro l’auto o in un angolo della sala del ricco banchetto dato da Trujillo in onore dei suoi amici.La festa del caprone porta con sé altre considerazioni, quali il ruolo degli Stati Uniti nella politica dell’America Latina o quali siano i valori che la politica deve perseguire, ma si tratta di tematiche ampie che vanno bel al di là della discussione su questo libro con l'indubbio merito di far riflettere i lettori riguardo il proprio presente.Giudizio:+5stelle+
Articolo di Patrizia
Dettagli del libro
- Titolo: La festa del caprone
- Titolo originale: La fiesta del Chivo
- Autore: Mario Vargas Llosa
- Traduttore: Glauco Felici
- Editore: Einaudi
- Data di Pubblicazione: 2011
- Collana: Super ET
- ISBN-13:9788806207793
- Pagine: 467
- Formato - Prezzo: Brossura – 14,00 Euro