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Spesa militare, meno politica (e appalti) e più efficenza

Creato il 21 marzo 2014 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

In questo articolo vogliamo sottolineare che a dispetto degli annunci di natura strettamente politica, dietro la spesa pubblica per la Difesa spesso si nascondono, invece che interessi militari, interessi ed appalti alle imprese statali italiane. Acquisti di armamenti in passato sono stati effettuati scavalcando i vertici militari attraverso accordi commerciali tra governi. Gli stessi esuberi previsti dal Governo Monti prima e dal Governo Letta poi, si tramutano in realtà in ricollocamenti del personale in concorsi pubblici, ministeri ed amministrazioni che già gravano sulle casse dello Stato. Le spese per la Difesa devono essere si razionalizzate, ma per rendere l’esercito più efficiente, non per rispondere a logiche politiche o per assegnare posti pubblici.

La questione degli F35 torna in primo piano. Dopo le dichiarazioni di pochi giorni fa del ministro della Difesa Roberta Pinotti e le prime anticipazioni della Spending Review rilasciate dal commissario Cottarelli, il tema dei tagli alla spesa militare è tornato prepotentemente all’ordine del giorno. Non è la prima volta che nel nostro Paese vengono annunciati tagli o riduzioni alla spesa militare senza che poi questi si rivelassero esclusivamente, appunto, annunci, spesso di matrice esclusivamente politica, ma se lo Stato spende troppi soldi per il budget della Difesa, spesso non lo fa seguendo prerogative di strategia militare, ma nascondendo dietro questi investimenti sussidi alle imprese pubbliche.

Esuberi e mobilità

Senza andare troppo indietro nel tempo, già il precedente governo Letta aveva previsto tagli alle spese militari e esuberi di personale per 28 mila persone, di cui 18 mila militari e 10mila civili. La manovra, iniziata ancor prima dal Governo Monti, attraverso la “Revisione dello Strumento militare”, aveva l’obiettivo di rendere le nostre forze armate più moderne, e per arrivarci si sarebbe dovuto riequilibrare la distribuzione delle risorse tra spese per il personale e spese per investimenti. Al 2012, nel totale di spesa di 13.631 milioni di euro, gli stipendi rappresentano il 70% dei costi, mentre per il resto, come gli acquisti di armamenti, non resta che il 30%. Come però sottolinea il Messaggero, a fronte di questi tagli sono previste della garanzie: per esempio, riserve di posti nei concorsi pubblici e misure particolari per favorire il passaggio in altre Amministrazioni, la cosiddetta mobilità. Anche nelle spese militari quindi il costo della politica si fa già sentire. Al 2012 il gabinetto del ministro della Difesa dava lavoro a ben 300 persone, che di stipendi incassavano 22 milioni l’anno, il Segretario generale della Difesa, oltre ad uno staff di 466 persone, per un costo di 36 milioni, annovera nei documenti della spendig review del governo Monti ulteriori 65 milioni di costi di gestione. Inoltre, al tempo dei primi esuberi previsti dal governo Letta, chi non era disposto ad accettare il nuovo incarico poteva contare sull’opzione alternativa del pensionamento. L’offerta, che riguardava esclusivamente i militari, era vantaggiosa: si andava a riposo con un assegno che, sommando tutte le voci, valeva circa l’85% dello stipendio attuale, oltretutto con la possibilità di integrare le entrate con i guadagni di eventuali lavori extra, cosa non consentita ai militari che oggi scelgono volontariamente l’istituto dell’ausiliaria.

Digitalizzazione e satelliti

A dispetto di questi dati, la spesa pubblica per quanto riguarda la difesa, mostra molti più spese eccessive di quanto si pensi. Come evidenziato in un’ottima inchiesta dell’Espresso, basata sulla spendig review redatta dal Governo Monti, molte spese della Difesa sono in realtà affari per aziende pubbliche come Finmeccanica. Caso emblematico il sistema Forza Nec, il programma di digitalizzazione dell’esercito, che si classifica in cima ai programmi militari più costosi con un preventivo di 22 miliardi di euro spalmati in 25 anni. Il sistema, voluto nel 2006 dall’ammiraglio Gianpaolo di Paola, al tempo capo di Stato maggiore della difesa, e salvato nel 2008 dalla spending-review, quando l’ammiraglio era Ministro della Difesa  nel Governo Monti, è un grosso affare per Selex Es, società di Finmeccanica, che gestirà in esclusiva non solo questo contratto, ma qualsiasi acquisto da parte dell’esercito da qui al 2031, dagli elmetti ai carri armati, che dovranno essere digitalizzati. Nell’ammontare di risorse messe a disposizione per questo progetto di digitalizzazione, Finmeccanica ha stanziato una grossa fetta per il prototipo del “Soldato del futuro”, che consiste in una lunga serie di gadget tecnologici a disposizione dei soldati. Ad oggi l’ammontare totale dello stanziamento per questi prototipi è stato di 325 milioni di euro, che sono serviti a malapena a “digitalizzare” 558 soldati, mezzo milione di tecnologia addosso a testa che, come se non bastasse, risulta essere provvisoria perché destinata ad essere sostituita da altri congegni. Un altro caso simile di spese “allegre” e immotivate riguarda il satellite Opstat 3000. Quest’ultimo, comprato dal Governo Berlusconi in Israele nel luglio del 2012, è arrivato scavalcando i generali in un accordo privato tra governi. Dopo la conclusione dell’acquisto un sito specializzato israeliano ha notato come della cifra complessiva solo 182 milioni andassero al produttore di Tel Aviv, mentre i restanti 200 saranno intascati da Telespazio azienda del gruppo Finmeccanica. Gran parte di questi fondi sono arrivati e arrivano, non dal ministero della Difesa, ma bensì dal ministero dello Sviluppo Economico, senza alcuna differenza di colore di governo. Al di là quindi degli annunci il budget della Difesa necessita di essere razionalizzato, non per motivi politici o per mera propaganda, ma perché sembra che la motivazione dominante di molte spesa per la difesa non sia quella di soddisfare le necessità dei militari, quanto quella di sovvenzionare le aziende nostrane.

 

@MarioGrigoletti


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